Un 2000 tutto segnato dalle elezioni, quello della politica umbra. Le elezioni fatte (quelle regionali ad aprile), le elezioni da fare (le politiche della primavera 2001). Così i primi mesi di quest’anno a Palazzo Cesaroni si respirava già clima di pre-voto, con la corsa della maggioranza di centro-sinistra a far approvare le leggi ritenute più elettoralmente produttive e la rincorsa del centro-destra a cercar di far risaltare il più possibile, anche con l’ostruzionismo vecchia maniera, il ruolo dell’opposizione. Sopra a tutto, l’addio di Bracalente, quasi a suggellare la fine dell’era politica dei “professori” ed il ritorno in auge dei politici “di mestiere”. Un addio per il quale, sotto certi aspetti, la Quercia umbra sta ancora pagando dazio. Il voto regionale di aprile ha consegnato agli umbri una campagna elettorale dai toni “alti”, per il testa a testa Lorenzetti-Ronconi, una governatrice diessina eletta direttamente dai cittadini e, insieme, un Consiglio regionale con netta prevalenza del centro sinistra (20 a 10 è il rapporto dei consiglieri). Apparentemente, dunque, la prospettiva per la presidente era quella di un tranquillo ritorno in Umbra dopo le “fatiche” parlamentari romane. Ci hanno pensato subito i partiti della coalizione che la sostiene a farle crollare, ammesso che ne avesse, ogni speranza di tranquillità. Ed è scoppiato il “caso” Bonaduce. Questo consigliere, eletto con i Comunisti italiani e poi scelto dall’assemblea come Presidente è passato, cammin facendo, con Rifondazione, per motivi che i suoi ex compagni hanno pubblicamente descritto come tutt’altro che politici. Contribuendo, in questo modo, a far crescere ancora di più il disagio e il distacco della gente nei confronti della politica. Ma il caso Bonaduce, più che il detonatore della crisi del centro sinistra ne è stato la conseguenza più plateale. Perché la sua elezione a Presidente non aveva tacitato le istanze del suo ex partito, che ha continuato ad imputare alla presidente di averlo lasciato fuori dalla Giunta. Perché hanno continuato a sgomitare i Democratici (che un assessore ce l’hanno), i Popolari (avevano il vicepresidente di Giunta oggi hanno il presidente del Consiglio) e anche lo Sdi (un assessore), per non parlare dei Verdi, sempre più inclini a trattare argomenti ambientali in contrapposizione rispetto al resto della maggioranza. Le dimissioni di Bonaduce da presidente arrivano dunque a suggellare un anno che politicamente si può definire di passaggio, dove il voto regionale ha scatenato frizioni che, forse, il voto politico prossimo venturo potrebbe ulteriormente acuire. Anche la elezione del nuovo presidente del Consiglio Liviantoni del Ppi ha ripetuto il copione della conflittualità nella maggioranza.Per superare lo scoglio e giungere ad una conclusione c’è voluta tutta la grinta della Presidente che ha minacciato le dimissione e ha detto testualmente che “ci sono tra noi banditi irresponsabili. E se continuano ancora una volta il gioco del massacro, io fra mezz’ora mi dimetto: dunque per legge l’intero Consiglio regionale torna a casa”. Parole dure che hanno posto fine al deludente spettacolo. Così, giusto alla vigilia di Natale è giunta la nomina di Danilo Monelli, (Rifondazione), assessore all’ambiente, infrastrutture e protezione civile, a vice presidente della Giunta.Occupa la poltrona lasciata da Gian Piero Bocci, assessore all’agricoltura, e collega di partito di Liviantoni. Il “riposizionamento” dei partiti dovrebbe far diminuire le lotte interne alla maggioranza, ma non è detto. Nel frattempo l’intenzione della Lorenzetti di “governare” rischia di rimanere tale.
Gli aggiustamenti dei partiti porteranno pace nella maggioranza?
In Consiglio regionale i 20 del Centro Sinistra non garantiscono la stabilità
AUTORE:
Daris Giancarlini