Protagonisti del primo Avvento sono Maria e Giuseppe: senza di loro non avremmo Gesù, né la festa del Natale verso la quale siamo diretti. Certo, la madre rimane sempre al centro di ogni nascita, un ruolo insostituibile. Ma in ogni famiglia normale, accanto alla madre, c’è anche il papà, pronto ad accogliere con gioia il bambino che nasce e a prendersene cura. Abbiamo celebrato la Madre di Dio con anticipo nella festa dell’Immacolata Concezione. L’abbiamo vista scelta e preservata da Dio fin dalla sua concezione. Lui solo, tra i nati di donna, ha potuto scegliersi con largo anticipo la madre e prepararla con cura particolare, come gli piaceva.
Oggi, a due giorni dal Natale, fissiamo lo sguardo su Giuseppe, quasi sempre trascurato, eppure anche lui parte essenziale della famiglia di Nazareth. Matteo, nella genealogia con cui apre il suo Vangelo, ci aveva indicato Gesù come “figlio di Davide, figlio di Abramo”, proprio il Messia atteso dal suo popolo. La sua genealogia discendente comprendeva tre serie di 14 nomi, che vanno da Abramo a Gesù. Il numero 14 nella scrittura ebraica, dove non esistevano le cifre, risultava composto di tre lettere, DWD, proprio le lettere del nome di Davide, che così è posto simbolicamente al centro dell’elenco. La genealogia aveva contato una serie di 40 padri, ma sorprendentemente gli ultimi due, Giuseppe e Gesù, non erano più tali: nessuno dei due aveva generato figli.
Come poteva essere figlio di Davide quel Gesù che non era stato generato da Giuseppe? Si era interrotta, infatti, la catena dei generanti. Un fatto che bisognava spiegare. Da questa anomalia nasce il racconto che oggi ascoltiamo, che comincia proprio con la spiegazione richiesta: “Ecco come avvenne la nascita di Gesù”. Giuseppe era promesso sposo di Maria, che, secondo l’uso del tempo, era stata assegnata a lui dai rispettivi genitori fin dalla nascita. Nel periodo di un anno, che trascorreva tra il contratto matrimoniale e l’introduzione della sposa nella casa dello sposo, Maria “si trovò incinta per opera dello Spirito santo”.
Dal racconto dell’annunciazione di Luca sappiamo come ciò avvenne. Dobbiamo precisare che lo Spirito santo non è il Padre di Gesù, anche perché “Spirito” nella lingua aramaica di Matteo è di genere femminile, e in greco è di genere neutro. Colui che Gesù chiama Padre è la prima persona della Trinità. Lo Spirito è lo strumento di cui Dio si è servito per un prodigio finora impensabile. Chi ha dato a Giuseppe questa notizia che gli ha causato tanto disorientamento? Se n’è accorto da sé, per i segni fisici evidenti? Glielo ha detto Maria? Sembra difficile pensarlo. Alcuni esegeti, come sant’Efrem il siro, hanno pensato che l’abbia saputo da una rivelazione divina, un annuncio come quello fatto a Maria, e che Dio doveva anche al suo sposo per non lasciare Maria nei guai. Il segreto sembra nascosto nell’appellativo di “giusto” dato a Giuseppe dall’evangelista. “Giusto” per la Bibbia è colui che fa la volontà di Dio.
I Padri antichi, come Ambrogio, Agostino, Crisostomo, pensano che Giuseppe sia giusto perché intende osservare la legge divina. Ora la legge mosaica (Dt 22,23-27) esigeva che una donna adultera fosse ripudiata e condannata alla lapidazione. Da qui nasce il terribile dramma psicologico che si scatena nel cuore di Giuseppe il giusto. È combattuto tra l’amore a Maria e le esigenze della legge. Nella sua bontà pensa di non rilasciarle il libello di ripudio, che l’avrebbe rovinata per tutta la vita, ma di lasciarla in segreto. Si sarebbe preso così tutta la colpa dinanzi all’opinione pubblica, che lo avrebbe ritenuto un incosciente, incapace di assumersi il rischio e l’impegno della paternità. Ma, in questo caso, Giuseppe non doveva essere definito giusto; piuttosto, misericordioso.
René Laurentin, con altri autori moderni, pensa che Giuseppe avesse saputo per rivelazione che il bambino portato in grembo da Maria, sua sposa, veniva da Dio e da nessun altro. Sposare Maria e accettare come figlio il suo bambino gli appariva un’appropriazione indebita, una specie di sacrilegio. Ebbe paura, si ritenne indegno di tanto onore e tentò di tirarsi indietro con discrezione. Finché non venne l’angelo in sogno a dirgli che la sua paura non aveva ragione di essere, perché Dio stesso gli affidava quel bambino come figlio adottivo. Il giusto accettò la volontà di Dio, come Maria. Luca ci racconta l’obbedienza che rese Maria madre vergine di Dio: “Avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38); Matteo ci racconta l’obbedienza che rese Giuseppe padre adottivo di Gesù: “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Gesù nasce in una famiglia formata dall’obbedienza a Dio dei due coniugi. In ambedue i casi la decisione fu basata sulla fede incondizionata alla parola di Dio; sulla giustizia, direbbe ogni buon ebreo.
Quel sì all’angelo inserì Giuseppe nel piano segreto di Dio e gli fece assumere una paternità non sua destinatagli dallo stesso Dio Padre. “Il programma davidico spezzato dalla rottura genealogica di Mt 1,16 è così ristabilito dalla missione affidata a Giuseppe”. Fu nell’esercizio del suo diritto di padre che Giuseppe dette il nome a quel figlio e lo inserì automaticamente nella famiglia di Davide. Adempì così una prima promessa divina fatta al re Davide dal profeta Natan: “La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono durerà in eterno” (2 Sam 7,16). Lo ricordava l’angelo a Maria: “Il Signore gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre” (Lc 1,32s). Matteo, agganciandosi alla promessa fatta alla vergine Maria, cita un’altra profezia, che annunciava la nascita del figlio di Davide proprio da una vergine: “Tutto ciò avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà ed partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”.
Quell’uomo giusto consentiva la realizzazione di un evento inaudito e misterioso, che nessun rabbi aveva letto prima nella profezia di Isaia citata. La profezia che Isaia pronunciò più di settecento anni prima era diretta ad Acaz, re di Giuda, che aveva appena perso il suo unico figlio e minacciava di far fallire la promessa dinastica di Dio alla famiglia di Davide. Gli annunciava la nascita imminente di un figlio, Ezechia, datogli da una delle sue giovani mogli al primo parto. Nella traduzione dei Settanta, quella ragazza è chiamata “vergine”. Quei traduttori ebrei del II secolo a.C., che gli antichi padri stimavano ispirati da Dio, avevano letto inconsa- pevolmente quella promessa in chiave messianica. Matteo ci dice che proprio questa era l’intenzione di Dio nascosta perfino a Isaia. L’Emmanuele annunciato era veramente il “Dio con noi”, quel Gesù che portava già nel suo nome “la salvezza del suo popolo”. L’obbedienza dell’uomo giusto fa miracoli, oggi come ieri.