Nell’ambito delle manifestazioni per il Giubileo eucaristico, il 30 novembre presso il Palazzo dei congressi di Orvieto padre Raniero Cantalamessa ofm ha tenuto una riflessione sul tema “L’eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa”.
Il predicatore della Casa pontificia ha esordito partendo da Romani 12,1: “Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale”.
Nel passaggio dai sacrifici antichi al sacrificio di Cristo si osserva la stessa novità del passaggio dalla legge alla grazia, dal dovere al dono. Da opera dell’uomo per placare la divinità e riconciliarla a sé, il sacrificio passa a essere dono di Dio per placare l’uomo, farlo desistere dalla sua violenza e riconciliarlo a sé.
In questa direzione, l’attenzione di padre Raniero si è rivolta in particolare su due categorie di persone: i lavoratori e i giovani.
Anzitutto il pane eucaristico “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” ha qualcosa di importante da dire sul lavoro umano, perché, insegnando al lavoratore cristiano a offrire nella messa il proprio corpo, cioè la propria persona (nella Bibbia il corpo rappresenta tutta la persona) con tutto ciò che vive (il tempo, il sudore, la fatica…), il lavoro non sarà più alienante come nella visione marxista in cui l’uomo finisce nel prodotto che viene venduto, ma santificante.
Il mondo di oggi poi vuole dai giovani il corpo essenzialmente come strumento di piacere e di sfruttamento, qualcosa da vendere e poi da buttare via, insieme con la persona, quando non serve più a questi scopi. Insegniamo ai giovani e alle ragazze cristiane a dire, al momento della consacrazione: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo, offerto per voi”. Il corpo viene così consacrato, diventa cosa sacra, non si può più “dare in pasto” alla concupiscenza propria e altrui, non si può più vendere, perché si è donato: è diventato eucaristia con Cristo.
Dovremmo però riscoprire il senso del sangue di Cristo, altrimenti rischia di rimanere il ‘parente povero’ dell’eucaristia.
Questo centenario ha una stretta relazione con esso, perché il Corporale custodito nel duomo conserva le gocce di sangue. Non solo: dal Vaticano II ormai abbiamo un’unica solennità, quella del Corpo e Sangue di Cristo, e anche nel logo del Giubileo eucaristico è rappresentato il pellicano, che ricorda il sacrificio di Cristo nel suo sangue versato. Nella Bibbia il sangue non indica una parte dell’uomo, ma è sede della vita, perciò l’effusione del sangue è segno della morte. Con la parola “corpo” Gesù ci ha donato la sua vita, con la parola sangue ci ha donato la sua morte.
Applicato a noi, offrire il corpo significa offrire il tempo, le risorse fisiche, mentali, un sorriso che è tipico di uno spirito che vive in un corpo. Offrire il sangue significa offrire la morte: non soltanto il momento finale della vita, ma tutto ciò che già fin da ora anticipa la morte, cioè le mortificazioni, le malattie, le passività, tutto il negativo della vita.
Così, tutta la giornata, e non solo il momento della celebrazione, è un’ eucaristia. Bisognerebbe ritornare anche al senso dei segni da cui l’eucarestia è significata: mentre il pane rappresenta il lavoro dell’uomo ma anche l’alimento più utile, necessario, così il vino per la Bibbia rappresenta la festa. L’eucarestia è dunque per noi cristiani l’alimento necessario per fare festa. Ed è così che si può veramente affermare che l’eucaristia fa la Chiesa facendo della Chiesa un’eucaristia.