“Quella cristiana è una presenza che, nel mondo digitale, sta crescendo sempre di più; direi che occorre entrarci rispettando alcuni criteri: non giudicare a-priori, mettersi nella disponibilità di imparare e non solo di insegnare; vigilare sui contenuti e – come il Santo Padre ha ricordato di recente – avere cura di non cedere all’aggressività che talvolta caratterizza i linguaggi del web”. Il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, parla all’indomani della 55ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.
Nel mondo attuale, gli spazi digitali si sono ampliati enormemente e i social network sono diventati un ambiente abitato soprattutto dai giovani. Si può pensare a una pastorale vocazionale anche in questi luoghi?
Il recente Documento preparatorio per il Sinodo dei giovani afferma che bisogna prendere atto di come, talvolta, tra il linguaggio ecclesiale e il mondo giovanile si è venuta a creare una distanza difficile da colmare; lo spazio digitale e i social network sono certamente un linguaggio privilegiato, che i giovani oggi usano per comunicare, informarsi, abbattere le barriere dello spazio e del tempo e – perché no – anche formare la propria coscienza su determinati aspetti della vita, dell’etica, della politica e della religione. Il Documento ne parla come “un luogo di vita”, cioè qualcosa in più di un semplice strumento; se la pastorale vocazionale vuole raggiungere la vita dei giovani e proporre loro la bellezza dell’umanità di Gesù e della sequela, deve anch’essa abitare questo mondo.
Papa Francesco invita a cercare “modi per aprire strade affinché il Signore possa parlare, affinché il Signore possa chiamare” senza “fare campagna elettorale, né campagne di tipo commerciale, perché la chiamata di Dio non rientra nei modelli del marketing”. Come fare?
Inizierei col dire che non esistono ricette già pronte quando affrontiamo il tema della vocazione. La stessa parola, anzitutto, evoca un’azione che deriva in primo luogo da un “Altro”, cioè da Dio; ecco perché a noi – afferma Papa Francesco – tocca solo “aprire strade” perché Lui possa parlare. Ciò significa che la pastorale vocazionale non può limitarsi a fare una proposta, magari rendendola in qualche modo accattivante, ma, molto più, essa deve trovare vie di incontro e di dialogo con i giovani – attraverso la relazione fraterna, la catechesi, la direzione spirituale e altro – perché possano essere raggiunti dalla Parola di Dio. A volte viene denunciata una crisi della fede e dell’appartenenza religiosa dei giovani e su questo tema si è detto e scritto molto; tuttavia, quando i ragazzi vengono messi a contatto con il Vangelo e con la figura di Gesù, in particolare con la Sua libertà, la Sua capacità di amare gratuitamente, la sua attenzione verso i più deboli e la forza che ha nel respingere il male, rimangono spesso affascinati. Occorre dunque ripartire da qui.
Si parla spesso di “essere creativi” nel campo delle vocazioni. È una posizione che condivide?
Certamente non dobbiamo avere paura della “creatività”. Talvolta, la paura di cambiare stili, abitudini e schemi, prevale sulla gioiosa accoglienza dell’opera di Dio che, invece, è eterna novità. Su questo aspetto c’è come un filo rosso che lega gli inizi del Pontificato ai giorni nostri; ricordo che nel 2013 Papa Francesco disse ai catechisti: “Dio è creativo”. Oggi lo ha ripetuto ai giovani, in un recente libro dedicato a loro: “Dio è social, giovane e ama la novità”. Certo, non si deve inseguire l’innovazione in modo forzato, cambiare le cose senza discernimento o semplicemente inseguire la moda del “nuovo a tutti i costi”; occorre solo accostare, in modo audace, nuove vie, proposte e strumenti vocazionali, accanto alla tradizionale pastorale già esistente.
Ci sono ancora vocazioni che sorgono nell’ambito parrocchiale? I parroci sono ancora pronti a proporre questo percorso di vita ai giovani che ritengono chiamati al ministero?
Quello della parrocchia rimane sempre un ambito privilegiato per entrare a contatto con la vocazione sacerdotale o religiosa, anche perché è in esso che spesso si apprendono i primi rudimenti della fede cristiana. Ciò non toglie che il Signore possa servirsi di altri strumenti e che esistono realtà e gruppi giovanili capaci di comunicare la fede in modo attraente, suscitando talvolta il desiderio di una vita donata per la causa del Vangelo. Penso che i parroci possono e devono fare ancora questa proposta, sottolineando la responsabilità e l’impegno che essa richiede in quanto scelta totalizzante della vita, ma anche mostrandone, soprattutto attraverso una generosa e limpida testimonianza sacerdotale, la gioia che ne deriva.
Quali sono le sue aspettative dal prossimo Sinodo, con riferimento al discernimento vocazionale?
È un segno di notevole importanza che la Chiesa abbia deciso, attraverso uno strumento speciale come il Sinodo, di mettersi in ascolto dei giovani, del loro cuore, delle loro domande e solitudini, e delle loro speranze. L’aspettativa è che, da questo ascolto profondo, i Pastori e gli operatori pastorali siano stimolati e aiutati a trovare linguaggi e strumenti pastorali per aiutare i giovani a discernere le scelte più profonde della loro vita.
Questo è un servizio fondamentale che la Chiesa intende fare alla vita dei ragazzi e al loro futuro, nonché una possibilità in più per aiutarli ad aprirsi alla voce del Signore e – perché no – a una scelta di vita sacerdotale o religiosa.
Lei ha il privilegio di conoscere la situazione del clero in tutto il mondo. È fiducioso per il futuro?
La Congregazione lavora quotidianamente al servizio dei Vescovi e Sacerdoti, verso cui nutre un affetto speciale, cercando di accompagnare i loro percorsi e di aiutarli ad affrontare le difficoltà, che non mancano. Svolgiamo questo servizio in modo sereno perché confidiamo nel padrone della vigna, che è il Signore, siamo incoraggiati dalla parola e dall’esempio di vita di Papa Francesco, veniamo a conoscenza di tante luminose testimonianze sacerdotali e, nondimeno, di giovani seminaristi pieni di entusiasmo. Siamo fiduciosi nel futuro.