Sono un giovane neodiplomato o neolaureato che ha un’idea da realizzare. Come posso fare per renderla realtà o, ancora meglio, renderla una realtà lavorativa? Non è facile rispondere a questa domanda e, soprattutto, districarsi da soli tra bandi, enti, finanziamenti e incentivi molto spesso poco noti e ancor meno pubblicizzati per i non addetti ai lavori. La cosa migliore da fare è chiedere aiuto a chi se ne intende. Per questo ci siamo rivolti a Carlo Di Somma, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative Umbria.
Partiamo da Confcooperative, quali sono i progetti all’attivo per incentivare l’imprenditoria giovanile?
“Confcooperative sta portando avanti tre diversi progetti in favore dei giovani che vogliono fare impresa. Il primo è il Progetto Policoro, presente ormai da alcuni anni nella nostra regione dove ha portato alla fondazione di 3 cooperative sociali. Il secondo progetto “Officine Fratti” lo abbiamo portato avanti con il Comune di Perugia. Alcuni giovani, selezionati tramite bando, hanno tre anni di tempo, un finanziamento in denaro e uno spazio per realizzare la loro idea. Il terzo progetto partirà in autunno e lo presenteremo nel corso di un convegno alla Sala dei Notari con gli studenti delle scuole per riflettere sul tema del lavoro che non c’è”.
Di cosa si tratta?
“Si chiama ‘Coop Up’ ed è un progetto per la formazione e il supporto di start up cooperative. Il progetto è nazionale ed ha già avuto una prima fase di sperimentazione in 19 città metropolitane che ha dato risultati positivi. Ora partirà anche la sperimentazione sull’Umbria. Con questo progetto, Confcooperative vuole accompagnare i neo imprenditori fin dall’avvio dell’impresa, mettendo anche a disposizione uno spazio di coworking”.
Perché scegliere la strada della cooperativa?
“Sicuramente la cooperativa rimane ancora la realtà più attrattiva e possibile per chi vuole fare impresa, ma ha pochi capitali da investire. Oggi comunque non è più il tempo dell’improvvisazione. Non basta avere una buona idea, occorre metterla in campo in maniera strutturata e strutturale, perché oggi è indispensabile che, oltre al prodotto, l’artigiano ne sappia di marketing, comunicazione, pubblicità”.
Con i vostri progetti di sostegno all’imprenditorialità volete quindi aiutare a creare attività al passo con i tempi. Non è così adesso?
“In parte no. Il mondo della cooperazione umbra sconta una certa ritrosia specialmente nel settore della comunicazione. Si è sempre messo l’accento più sul fare, ma oggi se fai e fai bene, ma non lo comunichi e non lo comunichi bene è come se non lo facessi. I social, ad esempio, sono uno strumento da saper utilizzare con intelligenza. La crisi ha, però, creato nelle nostre realtà una certa resilienza e ha permesso di smuovere un sistema economico ancora troppo poco virtuale”.
A livello regionale e nazionale, invece, quali sono gli aiuti alle imprese?
“A livello nazionale è molto interessante il bando del Ministero dello Sviluppo Economico per lo sviluppo e l’implementazione delle imprese sociali, finanziato con 220 milioni di euro provenienti da fondi europei e in scadenza il prossimo 7 novembre. Per quanto riguarda la Regione Umbria, invece, siamo in attesa che esca il bando per l’innovazione sociale. La Regione ha manifestato una forte attenzione per l’argomento con diverse misure promesse nella programmazione e una fetta importante di risorse dedicate. Finora, però, questo programma ha stentato a realizzarsi in interventi concreti. Diciamo che abbiamo circa un paio di anni di ritardo, ma va detto che noi paghiamo lo scotto di una regione piccola, con grossi problemi infrastrutturali”.
Secondo lei quali sono i migliori settori della Regione per aprire un’attività?
“Sicuramente il turismo, un settore con enormi potenzialità ancora da sfruttare e che potrebbe dare importanti sbocchi lavorativi ai giovani”.
Che doti deve avere un giovane che vuole lanciarsi a fare impresa?
“Sicuramente molto coraggio, deve sviluppare competenze trasversali di gestione, comunicazione, etc… Deve avere immaginazione, ma anche i piedi ben piantati a terra ed essere capace di autocritica, non innamorarsi del suo prodotto, ma saperlo processare all’occorrenza. E ovviamente deve avere un pizzico di follia”.