Sarebbero almeno 50 gli italiani che combattono al fianco dei ribelli in Siria, come il ventenne genovese convertito all’islam Giuliano Ibrahim Delnevo, rimasto ucciso nella battaglia di Qusayr (vedi editoriale del numero scorso). Gli “italiani” agirebbero soprattutto nel Nord, e tra questi ci sarebbe anche una donna. Ma in Siria non ci sono solo italiani, il fenomeno dei foreign fighter, combattenti stranieri, coinvolge almeno 800 tra olandesi, svedesi, inglesi e dai Balcani. Ma cosa li spinge a combattere? Quali sono gli elementi in gioco che determinano una scelta simile? Come spegnere i focolai di fondamentalismo che animano alcune frange dei fedeli islamici? Lo abbiamo chiesto a Renzo Guolo, sociologo delle religioni presso le Università di Trieste, Padova e Torino, esperto di islam europeo e italiano e di fondamentalismi contemporanei.
Perché un giovane italiano, e con lui centinaia di altri giovani europei, si converte all’islam e si arruola per combattere nel jihad, fino alle estreme conseguenze?
“Va considerata la storia personale di questi ragazzi. Ciascuno cerca in ideologie totalizzanti, in questo caso l’islam radicale, una sorta di bussola che offra certezze e chiavi di comprensione di un mondo sempre più complesso, che quindi disorienta. L’islam radicale è una sorta di religione politica che, come tutte, è in grado di dare agli individui risposte certe, magari anche manichee, alle grandi questioni del mondo e anche ai fatti della vita di tutti i giorni. Se avessero cercato un carattere più complesso della fede, forse, avrebbero optato per una dimensione più mistica, come i sufi…”.
Ma ci sono motivi particolari alla base di una scelta simile?
“Per quanto riguarda gli italiani, figli di stranieri di seconda generazione, elementi che potrebbero averli spinti in questa direzione possono essere una religione radicalizzata già nel tessuto familiare, oppure il fatto che questi giovani non vivono più nei Paesi di appartenenza e, nel contempo, non si sentono parte di quello in cui si trovano a vivere, non avendone – in molti casi – la cittadinanza. Sentono dunque il vuoto di questa doppia assenza, che riempiono con l’islam radicale che ha un grande appeal in quanto ultima grande ideologia trans-nazionale”.
Delnevo, però, era un italiano convertito.
“Per i convertiti italiani il discorso è diverso, e sarebbe interessante capire il motivo per cui non scelgono un ritorno al cattolicesimo o al cristianesimo. Probabilmente perché si tratta di religioni molto più interiori e che presentano tratti di riflessione interna che nell’islam non esistono. Anziché essere una religione-ricerca o confronto, l’islam radicale ha meccanismi assertivi molto più semplici da comprendere, come abbiamo visto nei video postati da questo giovane di Genova”.
A proposito di video: un elemento comune a tutti è che arrivano ad abbracciare la dottrina jihadista in completa solitudine, attraverso social network come Facebook, Twitter, YouTube…
“Si tratta di generazioni nate digitali, ma quello che è venuto meno è un tessuto di riflessione culturale, politica e religiosa che un tempo contribuiva ad abbattere la semplificazione delle grandi domande. La comunicazione in internet oggi presuppone un ‘sì’ e un ‘no’: dentro la Rete non è previsto un dibattito davanti a una realtà complessa. Nei più giovani vedo un grande disorientamento tra la mole e l’accesso delle informazioni e l’incapacità di gerarchizzarle e dare loro un senso e una priorità. Le persone che si formano dentro questo meccanismo, trovando poi impulso per dirigersi verso gruppi che hanno una visione semplificata della vita, vedono solo un lato delle vicende, e questo rappresenta un problema. È una comunicazione del ‘sì’ e del ‘no’ che ben si accorda con quel tipo di religione assertiva che è l’islam radicale”.