A distanza di tempo e di spazio, in momenti inattesi e modi inconsueti, si torna a parlare di religioni in termini problematici e conflittuali. Per chi vive pacificamente installato sulle poltrone della pur traballante cultura occidentale, il problema non esiste e non esiste il pericolo di uno “scontro di civiltà”. Le religioni sono “ignoranza e barbarie”, ma quale civiltà! I benpensanti, sicuri di essere eredi del razionalismo illuminista e possessori del futuro tecnologico iper-sofisticato, non prendono neppure in considerazione che un giovane italiano possa recarsi in un Paese islamico e combattere fino a morire per la causa di una fede religiosa da loro considerata retrograda e superata dal progresso. Considerano solo il lato politico. Non sanno che le due facce della medaglia, fede e politica, spesso si identificano e sempre si richiamano. È già avvenuto che giovani laureati, educati in Occidente nelle più prestigiose Università inglesi o americane, abbiano aderito all’islam anche nella sua corrente più radicale. Che cosa li attrae? Che cosa li convince? Come è possibile?
Il recentissimo, tragico fatto del giovane genovese Giuliano Delnevo, studente, convertito a vent’anni all’islam, morto a fianco dei combattenti anti-Assad in Siria, suscita più di una domanda. Non è stata solo una scelta politica, ma una vera e propria conversione, quando ha scoperto la fede e ha iniziato a praticarne i precetti. Ha cambiato anche il nome – cioè la propria più profonda, interiore identità – in Ibrahim e di conseguenza si è sentito chiamato a combattere, secondo l’invito del Corano, per la liberazione di un popolo contro chi non osserva e non impone al popolo la legge che Dio comanda, la shari’a. Ricordate la rivoluzione di Khomeini in Iran? Sono le ragioni che stanno al fondo del movimento Al Qaeda, variamente rappresentato, che rende pieno di fermenti e conflitti le nazioni musulmane. Ma la domanda che ci preme di più è come possano esserci – e ce ne sono molti, anche se non moltissimi – giovani che si convertono all’islam. Fino a poco tempo fa, una tale conversione sembrava impossibile, del tutto fuori di ogni possibilità.
Vi sono stati personaggi di prestigio che si sono convertiti in tempi insospettabili, come il nobile romano Pallavicini, per ragioni ideali (1951). Oggi la conversione ha motivazioni diverse. Non da una religione a un’altra, ma da uno stato di indifferenza a uno scatto di religiosità forte determinata, decisa, cui si accompagna l’estrema semplicità del credo e la fissa struttura della pratica religiosa. A ciò si accompagna l’idea che la religione musulmana sia una forza di rinnovamento e di liberazione di popoli che sono stati nei secoli passati sottomessi dalle nazioni cristiane occidentali, e ora si risvegliano per un futuro di libertà e indipendenza, e si vogliono emancipare dai loro capi secolarizzati che scimmiottano l’Occidente cristiano corrotto. C’è anche una propaganda assillante sostenuta dagli Stati arabi e dalle loro risorse economiche e finanziarie derivate dal petrolio. Una religione che odora di petrolio. Cristiano Magdi Allam direbbe che la causa delle conversioni dipende dall’abbandono da parte dei cristiani della difesa delle propria fede e dalla mancanza di coraggio nel criticare e condannare la religione musulmana. Egli sostiene che si è posta, con l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, la fede musulmana sullo stesso piano della fede cristiana. Magdi Allam si sbaglia. Nessuno ha mai fatto questa equiparazione. I cristiani, anche ammettendo che Maometto sia un profeta, cosa che non è stata mai affermata da documenti ufficiali della Chiesa, ha invece da sempre predicato che Dio, “dopo aver parlato molte volte e in diversi modi ai Padri per mezzo dei profeti, alla fine ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1). Non so se qualcuno questo lo abbia fatto sapere ai cristiani che si sono convertiti all’islam.