La domenica si deve lavorare o no? Si sa che le risposte sono diverse secondo situazioni e interessi, ma quello che non pare essere molto chiaro è che il precetto del “santificare le feste” ha un valore non solo religioso (andare a messa) ma anche umano e sociale. Il discorso si è riaperto tra la gente e sui mass media locali con il messaggio diffuso in occasione della Festa del lavoro, il Primo maggio, dalla Consulta regionale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. Nell’anno dedicato all’Eucaristia il tema della giornata posto all’attenzione dei fedeli è “Lavoro ed eucaristia”.
Il messaggio della Consulta Ceu ha quindi offerto una traccia di riflessione mettendo a fuoco il valore della pace, della condivisione e della domenica “giorno del Signore”. Se è vero che si sta andando “verso la generalizzazione della domenica lavorativa e meglio remunerata, considerata la migliore risposta per mantenere la competitività delle aziende e per combattere il declino industriale” il messaggio ricorda come la Chiesa abbia ripetutamente ribadito “la sua tendenziale contrarietà all’estensione del lavoro domenicale nel commercio come nell’industria”. Non si tratta, dunque, di negare le necessità del lavoro domenicale in settori cruciali quali i servizi (dagli ospedali ai trasporti alla risorazione) ma di evitare una estensione generalizzata del lavoro in giorno di domenica motivata solo da ragioni di profitto economico. “La nostra impressione – si legge nel messaggio – è che la società rischia di avvitarsi in un circolo vizioso: si lavora per consumare e si consuma perché ci sia lavoro. E invece occorre recuperare un respiro più ampio e condiviso. Ecco la funzione fondamentale della domenica: essere un tempo di riposo e di festa sincronizzato per tutta la famiglia nel quale coltivare in particolare le relazioni umane e familiari”.
Il lavoro domenicale può, e in centri casi deve, esserci ma, si legge nel messaggio, si deve sempre valutarne la necessità (ad esempio la difesa e la stabilità dei posti di lavoro) e stabilire criteri per la sua applicazione (ad esempio, la volontarietà e la rotazione su più persone del lavoro domenicale), affinchè non si arrivi a mettere in contrapposizione “una solidarietà (quella dell’occupazione) con un’altra solidarietà (quella familiare, culturale e spirituale) e non si scada nel ricatto: la domenica in cambio del lavoro”. Meno risalto ha avuto sui mass media la prima parte del messaggio, quella in cui il richiamo a riflettere sull’Eucaristia si è tradotto in un invito a scorgere nella liturgia eucaristica la “rivelazione e celebrazione della fratellanza umana!”. “La giustizia e la solidarietà devono permeare tutti i rapporti umani, persino e in un modo quasi privilegiato, i rapporti economici e di lavoro” si legge nel messaggio, che non nasconde “l’impressionante dilagare di molteplici manifestazioni sociali e politiche del male”: “l’esplosione del terrorismo e della violenza, il dramma iracheno che si prolunga in situazioni d’incertezza e insicurezza, gli altri conflitti spesso ignorati che continuano a mietere migliaia di vittime specialmente nel continente africano, la miseria d’intere popolazioni a causa delle carestie, delle epidemie e delle grandi e sconvolgenti emigrazioni di popoli”. Drammi del mondo che paiono lontani, ma “quando partecipiamo alla messa ci ritroviamo con una umanità con cui camminiamo ogni giorno, ci accorgiamo che ciascuno cerca dal Signore un senso e sta tentando di recuperare i valori che sembrano persi”.
La Consulta, nel messaggio per il Primo maggio, invita ad allargare il cuore, a vivere i vari momenti della messa portando davanti al Signore tutte le dimensioni della nostra vita. “Se chiediamo perdono, all’inizio della messa, lo spazio di ricerca non è solo quello familiare, ma anche sociale. È il tempo della pace, perché non vi è pace senza perdono. È il tempo del lavoro poiché lì sviluppiamo la nostra operosità, le nostre competenze e il nostro contributo accanto a quello di tutti, lì s’incrociano tensioni, liti e fatiche, lì la convivenza si fa difficile e la solidarietà spesso è faticosa poiché scattano individualismi e volontà di sopraffazione”. Allo stesso modo “la Parola del Signore ci obbliga a ripulire la nostra lavagna interiore e i nostri schemi. Essa ci invita all’ascolto e a ripensare, con sapienza, ai rapporti personali, familiari, sociali e politici’, come anche invita a “mettere in pratica, visibilmente, nella concretezza delle opere quel che si celebra”. Anche la preghiera dei fedeli “ci chiama in causa nella lettura della nostra vita e del mondo, così le impotenze e le pigrizie prendono la strada di ricerca più costruttiva”. Ma è all’offerta dei doni che “il lavoro viene scoperto come elemento fondamentale dell’Eucaristia, poiché pane e vino e tutto ciò che ci circonda sono “frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna”. Quel pane e quel vino diventano corpo e sangue di Cristo: il lavoro permette di offrire ristoro e cibo e permette la presenza del Signore per la rinnovazione, per il perdono, per la solidarietà tra noi.