Non voleva finire, quel giorno. Il giorno dell’Ad Deum a don Elio, amico e maestro. Sono tornato a casa sfinito come si conviene a un vecchietto che ama fare cosa da ventenne. In questi casi “il materasso è il massimo che c’è”, come cantava anni fa Renzo Arbore. Il massimo: in lana, in latice o ad acqua: il materasso a quell’ora è il massimo che c’è. Ma solo dopo un ultimo zapping fra i maggiori canali televisivi, che stasera sarà particolarmente rapido. “Sarà”… avrebbe dovuto essere.
Perché, arrivato al canale 28, sullo schermo apparve una figura di statista che ho amato visceralmente, come può amare solo un adolescente precocemente contagiato dalla passione politica. Alcide De Gasperi, c’è ancora da aspettare molto per vederlo nella gloria degli altari? Avevo 16 anni quando partecipai alla sua liturgia di commiato. Fine estate 1954. In S. Maria degli Angeli alle Terme. Piazza dell’Esedra, un passo da Termini.
Non esisteva ancora l’autostrada, e il nostro pullman (“torpedone” lo chiamavamo allora noi villici) partì da Gubbio a mezzanotte per essere a Roma alle 9… su e giù, giù e su, dentro e fuori Gualdo, dentro e fuori Nocera, dentro e fuori Foligno, dentro e fuori Spoleto. Arrivammo a Roma alle 8 e mezza. Gualciti. Ma quel giorno, quella folla immensa, quei volti irrigati di lacrime, quelle 50.000 bandiere bianche che garrivano gioiose al vento… ho tutto qui, davanti al mio sguardo di vecchio che con uno gnocco in gola loda, ringrazia, rimpiange.
Ma lo sceneggiato che scorreva sul piccolo schermo alle 23 del giorno delle esequie di don Elio non ha catturato la mia attenzione solo per questo ricordo. Ad affascinarmi era soprattutto la qualità di quella vita, personale e politica, il suo spessore umano e cristiano. Stanchissimo. “Ma una mezz’ora posso ancora dedicargliela, al mio De Gasperi”.
Sono rimasto fino alle una e un quarto, fino alla fine. Il difficile mixage fra idealità e realismo di cui dette prova nel 1946, alla Conferenza di pace di Parigi; nel 1952 con la sua dolorosa resistenza all’inaccettabile comando di Pio XII, il suo Pio XII; nel 1954 quando si dimise da Presidente del Consiglio perché incredibilmente dalle urne non era uscito quel premio di maggioranza che la sua saggezza aveva pensato, e sul quale la sinistra avevano sparato cannonate tanto fragorose quanto indegne, Perle, nel contesto di una vita tutta da rimeditare. Dal rapporto spirituale con sua figlia suora, quasi un suo padre spirituale, al rapporto incredibilmente rispettoso con i suoi avversari, anche quando cercavano di schiacciarlo. Roba di ieri? No, roba da “ora e sempre”.