Il mutamento climatico viene indicato al primo posto tra le manifestazioni della grave crisi che viviamo. E poi la desertificazione, il degrado della aree agricole, l’inquinamento idrico, la perdita di biodiversità, il disboscamento selvaggio… Un testo bello ed importante, il messaggio per la Giornata mondiale della pace 2010: una ripresa e un rilancio di parecchi spunti già presenti nella dottrina sociale della Chiesa – specie nella Caritas in veritate – ma con una forza e un’incisività tutte nuove. Un testo che medita il rapporto tra l’uomo e l’ambiente naturale alla luce “dell’opera creatrice del Padre e redentrice di Cristo” (n. 14), per indicare un punto nodale per gli operatori di pace. Un testo per dire di una Chiesa che si sa responsabile per il creato e che alza la voce “per difendere la terra, l’aria e l’acqua”, come “per proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso” (n. 12). Papa Benedetto XVI indica nella vocazione umana a coltivare e custodire la terra (Genesi 2,15) un elemento critico per la costruzione di una convivenza giusta e pacifica – secondo un’intuizione che la dottrina sociale della Chiesa condivide con l’intero movimento ecumenico. In essa si radica l’invito a rinnovare e rafforzare l’alleanza tra l’uomo e la terra, ritrovando in essa il primo grande, fondante dono del Creatore all’umanità: rispetto ad essa l’uomo ha certo un’autorità conferitagli da Dio, ma profondamente intrecciata con la responsabilità che gli è affidata. È dalla mancata corrispondenza al mandato di Dio di un uomo, che si è lasciato dominare dall’egoismo, che nascono quei comportamenti sfruttatori che hanno determinato la crisi ecologica. Oggi c’è invece bisogno di una forte solidarietà – all’interno della generazione presente, come nei confronti di coloro che dopo di noi abiteranno questo pianeta: dobbiamo apprendere ad usare le risorse naturali evitando conseguenze negative per i viventi, “umani e non umani, presenti e a venire” (n. 8). Un testo teologicamente denso, dunque, che diviene anche appello forte al nostro tempo; mi pare, ad esempio, che esso interpelli con forza i responsabili delle nazioni presenti al vertice di Copenhagen (non nominato nel testo, ma più volte nominato in questi giorni da Benedetto XVI), che stanno cercando accordi incisivi, per far fronte al mutamento climatico. Proprio quest’ultimo, infatti, viene indicato al primo posto, al n. 4, tra le manifestazioni della grave crisi che viviamo; assieme vengono segnalate la desertificazione, il degrado della aree agricole, l’inquinamento idrico, la perdita di biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi e il disboscamento… tutti fenomeni strettamente collegati con le dinamiche del clima. In questo contesto acquista una concretezza tutta particolare l’insistito richiamo alla solidarietà – intergenerazionale ed intragenerazionale – che attraversa il messaggio. Esso si articola in una particolare responsabilità dei Paesi industrializzati, che non esonera però dall’impegno comune anche i meno sviluppati, specie gli emergenti. Sono proprio i temi su cui si dibatte in questi giorni a Copenhagen, nella pressante ricerca di un accordo che permetta di allontanare la minaccia che incombe sull’umanità, di un patto tra popoli e nazioni che aiuti a far pace con la terra. Ma la prospettiva del messaggio è ampia: la crisi presente deve diventare occasione di discernimento e di nuova progettualità, di revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, di profondo rinnovamento culturale. Occorre superare una cultura dell’esonero, negligente nell’“esercitare un governo responsabile sull’ambiente” (n. 7). La coscienza ecologica che emerge nell’umanità non va mortificata ma, al contrario, favorita, accompagnata, stimolata in vista di una maturazione più alta, radicata anche nella contemplazione della bellezza della natura, per riscoprire il Dio che, “tramite il creato, si prende cura di noi” (n. 13). Essa deve giungere ad articolarsi in nuove modalità d’uso delle risorse e dell’energia che valorizzino i buoni frutti della ricerca scientifica, in politiche ambientali ambiziose, in un impegno internazionale di alto livello (nn. 9-10). Essa esige anche nuovi stili di vita, “aldilà dei modelli di consumo e di produzione attualmente dominanti, spesso insostenibili dal punto di vista sociale, ambientale e financo economico” (n. 11): occorre imparare a costruire una pace con la terra che si esprima in scelte personali, comunitarie, familiari e politiche, poiché “tutti siamo responsabili della protezione e della cura del creato” (n. 11). Molti insomma i soggetti interpellati, in un appello alla responsabilità che viene ad intrecciarsi con la sussidiarietà, perché a tutti i livelli, secondo ciò che compete ad ognuno, la custodia del creato divenga obiettivo etico e politico condiviso.
Giornata della pace con taglio ecologico
AUTORE:
Simone Morandini