Si poteva immaginare che caduto il muro, caduto il mito, nonostante le velleitarie assurde pretese di rifondare il comunismo, i rifondatori dovessero attaccarsi a qualche santo in paradiso. E dove sono andati a cercarlo? In un frate eretico e visionario messo al rogo quattrocento anni fa, il 17 febbraio 1600. Come scelta non ci pare azzardato dire che peggio non potevano trovare. Non peggio per Giordano Bruno, che ha avuto il coraggio di essere fedele a se stesso e ai suoi “eroici furori”, che forse sono l’unico suo valore. Ma peggio per Stefano Vinti e compagni rifondatori che posti al seguito del libero pensiero e della filosofia bruniana non si accorgono di essere fuori strada rispetto a quella che dovrebbe essere la loro radice storica, quella del socialismo, della democrazia reale, del comunismo, della libertà dal bisogno, della redenzione degli emarginati e degli sfruttati. Bruno per quel tanto di idee che possono essere rimaste di un certo valore è l’assertore della “Mens insita omnibus” e della “Mens super omnia” (la Mente insita in tutte le cose e nello stesso tempo al di sopra di tutte le cose), che è un’affermazione teistica, cioè di un mondo pervaso dal divino, in cui la stessa materia respira dello stesso infinito alito divino e quindi in prospettiva semmai panteistica, ma certo non materialista, poco attento alle questioni economiche e della liberazione dei poveri. La libertà è solo del pensiero, quella libertà che sta all’origine del liberalismo e del capitalismo. Per il resto Bruno era un aristocratico che andava in giro per le corti europee a insegnare l’arte mnemonica e diceva cose non tenere nei confronti delle donne, salvo ad essere attratto, pare, dalla moglie del doge di Venezia che poi lo denunciò a Roma dove era ricercato per l’accusa di eresia. Quelli erano tempi tragici in cui vigeva, purtroppo, la pena di morte, quella pena che tuttavia vige ancora oggi in alcuni “civilissimi” Stati moderni. E la pena è stata inflitta dopo un lungo processo durato più di cinque anni. Un processo simile non l’hanno avuto le masse di contadini e gli innumerevoli oppositori del regime al tempo di Stalin o le vittime di Hitler nel secolo della scienza, della tecnica e dello sbarco sulla Luna. Chi porta il nome “comunista” nel Dna del proprio partito, dovrebbe avere qualche maggiore prudenza nel parlare di roghi e di forche, che accendono la fantasia, dimenticando i gulag e le purghe, i lavori forzati e i massacri ancora freschi nella memoria. Non vorremmo fare della polemica, non è nel nostro stile, ma molti cittadini dai politici e dagli amministratori che sono da loro ben pagati per risolvere i problemi concreti della società, vorrebbero meno litigi tra di loro per questioni di posti in giunta o nelle commissioni e meno demagogia pseudoculturale. Questo l’abbiamo scritto anche dietro suggerimento di alcuni nostri lettori indisposti dalle recenti iniziative bruniane, non solo quelle dei rifondatori. La Chiesa da parte sua ha fatto i conti con il proprio passato ed ha superato impacci e ritardi di tempi lontani, che rivivono in modo ossessivo solo in certe menti che non riescono ad andare oltre l’inquisizione, il caso Galilei, e, appunto Giordano Bruno. La Chiesa ha operato per una purificazione della memoria ed ora guarda al futuro con fiducia.E’ quanto auguriamo anche ai “liberi pensatori”.
Giordano Bruno e i fuochi mai spenti dei rifondatori
AUTORE:
Elio Bromuri