Oltre 1.200 persone hanno visitato la mostra fotografica “C’è qualcuno che ascolta il mio grido? Giobbe e l’enigma della sofferenza”, organizzata dalla Consulta delle aggregazioni laicali della diocesi di Perugia, e che si è conclusa domenica 31 marzo presso il Cerp – Centro espositivo della Rocca paolina. La chiave di lettura della mostra è stata approfondita in un incontro con il curatore, prof. Ignacio Carbajosa, docente di Antico Testamento all’Università San Damaso di Madrid, del cui intervento presentiamo qui un resoconto del dialogo del relatore con il pubblico. Una sintesi del suo intervento l’abbiamo pubblicata nel numero di questa settimana de La Voce (clicca qui per l’articolo nell’edizione digitale).
Le domande del pubblico e le risposte del prof. Ignacio Carbajosa
L’incontro di presentazione della mostra si è arrichito di un dibattito tra il pubblico e il curatore prof. Ignacio Carbajosa, con domande frutto di un lavoro di approfondimento dei contenuti della mostra, che abbiamo raccolto e qui riproponiamo.
Interviene Benedetta, di 17 anni: “Di fronte al mio vacillare in tante circostanze quotidiane, anche piccole, mi sono chiesta: qual è la fonte della certezza di Giobbe? Non è possibile credere che dipenda dal fatto che, nel passato, egli aveva avuto tutto.”
La certezza di Giobbe – risponde Carbajosa – è che Dio c’è e che è un Dio vivente. Gli amici di Giobbe saranno rimproverati da Dio perché non si sono indirizzati a Lui come a un vivente: Dio per loro coincide con una teoria, che pertanto non può né deve dare alcuna risposta. Da dove può nascere una certezza così, che Dio c’è e che io ho bisogno di una risposta da Lui? Pensa alle certezze che hai acquistato nella tua vita. La più salda è che i tuoi genitori ti vogliono bene. La hai acquistata con il metodo della convivenza con loro, giorno dopo giorno, anno dopo anno, per 17 anni. E’ una certezza che è una conoscenza. Nella vita, sarai chiamata a fare questo percorso con con tante altre persone. Con Dio, il metodo è lo stesso. Da duemila anni il Verbo si è fatto carne, si è sottomesso a questo percorso di conoscenza. Quando Giovanni e Andrea lo hanno incrociato per la prima volta, non sapevano che era il Figlio di Dio. La tua avventura umana è conoscere Gesù nell’umanità che si chiama Chiesa, condividerne la vita. Come con la mamma, quando da bambino ero malato: c’era il dolore, ma c’era la mamma. C’è il dolore, ma Tu o Cristo mi sostieni nell’essere, hai dato la vita per me; c’è il dolore, ma Tu ci sei. Lasciamo dunque la parola a Lui per vedere dove ci porta, che percorso ci fa fare.
“Giobbe è l’apice della ragione – dice Cecilia, medico – ma penso a tanti miei malati: è disperante non avere qualcuno a cui chiedere conto del proprio dolore, qualcuno da prendere a pugni, con cui protestare”. E Claudia, medico anche lei: “Una paziente in fin di vita mi ha chiesto: Perché? Che senso ha la morte? Non sapevo cosa rispondere, ed ecco che mi ha detto: Ma tu ritorni lunedì? Io ti aspetto, torna qui. Voleva un perché, e voleva me. Avere delle domande basta per sperare in una possibilità di salvezza?”. E Giuseppe: “Viviamo in una società ancora cristiana, ma stiamo perdendo la percezione della concretezza di Dio. Giobbe ha la percezione concreta di un Tu con cui dialogare. E noi che cosa ci stiamo perdendo, e perché?”. Interviene poi Mariangela, che racconta come il percorso sul libro di Giobbe la abbia accompagnata nell’affronto di una circostanza impegnativa. Davanti a Gesù che, come Dio con Giobbe, invita i discepoli al passaggio tra positum e datum, le si è aperta una possibilità: “C’è in ballo la mia certezza del rapporto con il Padre. Vorrei questo sguardo nuovo sulla realtà, per il quale la malattia è un valore aggiunto all’esistenza”.
In questo mondo in cui crollano le evidenze, – ha ribattuto il prof. Carbajosa, – vediamo tutto il dramma della mancanza di senso. Senza una proposta di significato, come è possibile affrontare la malattia? La parola ‘Dio’ è diventata astratta. ‘Bicchiere,’ ‘orologio,’ sono concrete: ‘Dio’ resta astratto. Che strada percorrere allora? Posso rispondere solo raccontando di me. Sono nato in una famiglia cristiana, ma a casa mia Dio non era un fattore della realtà. Un bambino sa benissimo che cosa è concreto in casa sua. Sono diventato un razionalista.
A 16 anni, davanti al mistero della vita, al mio cuore che batteva, alle cose che mi accadevano, è sorta in me in modo drammatico la domanda religiosa. Ma per me, nutrito di positivismo, la realtà era solo quello che si vede e si tocca. Per questo mi piace molto il punto in cui, nel Vangelo, ai discepoli che gli stanno raccontando i loro problemi Gesù ribatte: Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, e Dio li nutre… Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone vestiva come uno di loro… Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta. Gesù non ha risposto alle preoccupazioni, ha aggiunto invece un fattore che noi spesso lasciamo fuori: sin da stamattina, da quando ci siamo alzati, non siamo soli, c’è Uno che ci fa e che ci sostiene nell’essere. Riconoscere il Dio vivente, riconoscere che tu non ti fai da te: questo ti permette di entrare nei problemi in modo del tutto diverso.
Da ultimo, interviene Marta: “Di fronte alla vita che ci pone contraddizioni, che vuol dire essere amici, trattarci come Dio ha trattato Giobbe?”.
Alla vigilia del mio sacerdozio – risponde Carbajosa – andai a parlare con un prete che, dopo aver ascoltato a lungo e con pazienza tutti i miei problemi , mi disse: Ti concedo tutto, ma devi fare i conti con questo: tu in questo istante non ti fai da te. Per me quell’uomo è stato ciò che Dio è stato per Giobbe. Avrebbe potuto rispondermi “Su, coraggio…” E invece ebbe la grazia di identificare il problema ultimo, che non era un problema di coraggio ma di fede, di conoscenza. Mi ha sfidato su questo! Un giorno, parlando con un gruppo di studenti di Madrid, ho chiesto loro: ma nelle vostre conversazioni di amici, di cosa parlate? La compagnia della Chiesa vi fa compiere un cammino di conoscenza? Pensiamo all’ultimo disastro aereo: mi immagino a bordo dell’aereo che comincia a precipitare. Sono lì da solo, in quel momento la compagnia della Chiesa non c’è. La vita della Chiesa mi ha fatto compiere nel tempo un percorso di conoscenza, in modo che sto lì nel mio sedile, precipito e sono davanti al Mistero che mi sostiene, più presente a me di me stesso? Siamo amici fino a questo punto, radicali come Dio con Giobbe, come Gesù con i discepoli? Altrimenti, quando arriveremo ai momenti più duri, ci accorgeremo che gli amici sono stati inutili.
(a cura di Alessandra Di Pilla)
(Il video dell’incontro a questo link)