“È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino”, recita la Sequenza attribuita a san Tommaso d’Aquino che ascoltiamo domenica, solennità del Santissimo corpo e sangue di Cristo. Ancora continua la sequenza: “Cede al nuovo il rito antico”.
E il libro dell’ Esodo ci richiama proprio il “rito antico”, il momento più solenne della storia biblica: la stipula dell’alleanza tra il Signore e Israele. Questo evento è caratterizzato dai due elementi del sangue sparso sull’altare e della lettura del “libro dell’alleanza”, elementi che compaiono subito dopo che Mosè ha eretto un altare “con dodici stele per le dodici tribù d’Israele”, cioè dopo aver convocato la comunità nella sua interezza. Mosè fa da tramite tra il Signore e il popolo e, servendosi del sangue delle vittime sacrificali, asperge l’altare (che rappresenta il Signore) e poi il popolo. Il sangue sigilla quindi il patto tra il Signore e il popolo biblico.
Anche la Lettera agli Ebrei parla del sangue, ma non del sangue delle vittime animali, ma del sangue di Cristo, di Colui che “offrì se stesso senza macchia … ottenendo così una redenzione eterna”. Quindi non più la mediazione del sangue di più sacrifici, ma un solo sacrificio, un solo sangue versato: quello di Cristo, “mediatore di un’alleanza nuova”. Cristo stesso ha annunciato il Suo sacrificio nell’occasione dell’Ultima Cena trascorsa con i “Dodici”.
Secondo il Vangelo di Marco questo Pasto è stato anticipato da preparativi misteriosi. Intanto ha inizio con la volontà espressa dai discepoli di andare a preparare un luogo per mangiare la Pasqua e poi viene descritto l’incontro che i due discepoli inviati fanno con un uomo con la brocca d’acqua che conduce gli stessi ad una casa dove il padrone mostra loro “il piano superiore (con) una grande sala, arredata e già pronta”. Questa intro-duzione lascia intravvedere l’importanza della serata che sta per aver luogo e, soprattutto, rimanda all’esperienza di Davide che avrebbe voluto costruire una dimora per accogliere il Signore e invece il Signore l’ha costruita a lui. Così la “sala” che accoglie Gesù e i “Dodici”: non deve essere allestita perché è già pronta, e lì i “Dodici” preparano “la Pasqua”. Poi avviene che, invece di descrivere la Cena, l’Autore spezza il racconto presentando Gesù nell’atto di confidare l’imminente tradimento che subirà da parte di “uno dei Dodici” (brano che non ascoltiamo domenica, ma che è al centro della narrazione).
Gesù è quindi la vera vittima, è il “giusto” che “ingiustamente” soffre, è Colui del quale il Salmista -impersonandoloha anticipato dicendo: “l’amico in cui confidavo (“uno dei Dodici”), che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede” (Sal 41,10). È in questa circostanza di dolore che Gesù elargisce il più sublime degli insegnamenti: il Suo corpo donato, il Suo sangue versato. Abituati come siamo, nemmeno ci rendiamo conto della portata delle parole che costituiscono la base della “preghiera eucaristica”. Il Vangelo di Marco la introduce riferendo che Gesù “prese il pane e recitò la benedizione”.
La benedizione del cibo prima di mangiare coincideva con una tradizione inserita dai farisei e riportata nella Misnah non presente nella Bibbia che invece la prevedeva solo dopo aver mangiato (Dt 8,10). Posta all’inizio del pasto si prefiggeva di ringraziare il Signore per i frutti della terra e l’occasione della convivialità. Dopo la benedizione “Gesù spezzò il pane” mettendo in atto uno tra i più familiari compiti domestici. Nella cultura semitica al capo famiglia spettava di pronunciare una preghiera, di spezzare il pane e poi distribuirlo tra i presenti. Secondo le testimonianze ciò avveniva nelle occasioni di festa e soprattutto all’inizio del Pasto pasquale. Lo “spezzare il pane” per poi donarlo agli altri indicava al tempo stesso comunione e condivisione: tutti si nutrono dello stesso alimento che è quindi motivo di appartenenza reciproca, e che rende tutti una cosa sola. Fin qui tutto può sembrare confacente a quella che era “tradizione”, nessuno stupore. Ma Gesù prosegue e, riferendosi al pane, dice: “Prendete, questo è il mio corpo”. Non sono riportati i sentimenti dei presenti, ma si ritiene che potrebbero essere rimasti scossi in quanto nell’Antico Testamento erano vietati i sacrifici umani che invece alcune religioni antiche praticavano per propiziare il favore delle divinità. E ancora continua dicendo del Suo “sangue dell’alleanza versato per molti”, il sangue che, contrariamente a quello “antico” degli animali che andava ripetuto più volte, è “versato” una volta per tutte a favore di “molti” semitismo per dire la “totalità” degli esseri umani.
Con il “corpo donato” e il “sangue versato” Cristo dona totalmente se stesso a favore della ‘totalità’ e lascia il modello del vero amore che è proprio di chi non si risparmia, ma dona tutto se stesso, dona l’esistenza intera. Questo principio è da trarre soprattutto dalla concretezza tipica del linguaggio biblico: “la vita della carne è nel sangue” (Lv 17,11). Gesù è stato il solo che potesse offrire la sua vita in modo perfetto perché innocente e con il cuore pieno d’amore anche per chi lo tradiva. La Celebrazione eucaristica ci permette di rivivere questo mistero d’amore che non ha eguali e che certamente ci trasforma i cuori. “Ogni volta che noi facciamo la Comunione assomigliamo di più a Gesù, diventiamo ciò che riceviamo” (Papa Francesco, 21.03.’18).
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro dell’Esodo 24,3-8
SALMO RESPONSORIALE
Salmo 115
SECONDA LETTURA
Dalla Lettera agli ebrei 9,11-15
VANGELO
Dal Vangelo di Marco 14,12-16.22-26