“Loda il Signore, Gerusalemme”, afferma il salmista e la Sequenza esordisce con le parole “Sion, loda il Salvatore”. Si tratta dell’inno eucaristico che san Tommaso d’Aquino ha composto nel periodo in cui era ad Orvieto (1258/64), mentre la Chiesa assisteva al prodigio del miracolo eucaristico di Bolsena, e da allora se ne ripropone ogni anno il canto nella solennità del Corpus Domini. Il tema centrale della liturgia della Parola è infatti il “pane” (mistero eucaristico) ed è introdotto dal brano del Deuteronomio che è tratto dal capitolo 8, capitolo che rientra nella parte del libro che rievoca teologicamente i prodigi operati dal Signore a favore del popolo d’Israele nel tragitto verso la conquista della Terra promessa. Questi prodigi riconosciuti e ricordati dall’autore sono eventi concreti quali il passaggio del mare, la liberazione dai nemici, la protezione nel percorso e altri, ma tra tutti questi di “vitale” importanza è il “pane” che il Signore ha provveduto non solo per il sostentamento fisico, quanto soprattutto per una finalità pedagogica. Il popolo è stato infatti messo alla prova, il Signore gli “ha fatto provare la fame”, gli ha fatto mangiare la manna per insegnargli che “non di solo pane vive l’uomo, ma di tutto ciò che esce dalla bocca di Dio”. C’è un passaggio che viene cioè richiesto, dal nutrimento del cibo materiale a quello spirituale. Anche nella pagina evangelica si nota un “passaggio”.
Analizziamo il contesto del capitolo 6 di Giovanni. Gesù si trova con una grande folla sulla riva del lago di Galilea e moltiplica il pane per circa cinquemila persone. Poiché intendono farlo re, si ritira sulla montagna da solo, per pregare. Sopraggiunta la sera va incontro agli apostoli camminando sulle acque e poi con essi arriva a Cafarnao. L’indomani mattina la folla che Gesù aveva sfamato attraversa il lago e arriva presso di Lui. Ha fatto cioè un “passaggio”: dal nutrimento del corpo a quello dello spirito. È passata all’altra “riva”. Ha cioè dimostrato che il “pane” dell’antica alleanza non era più bastante. È un po’ come le parole che l’inno di san Tommaso vuole significare: “È il banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge; e l’antico è giunto a termine. Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde l’ombra: luce, non più tenebra”. Questo trova conferma nel fatto che il presente brano è anticipato dall’espressione “i vostri padri hanno mangiato nel deserto la manna e sono morti” ovvero il nutrimento della Legge ha sostenuto il cammino, ma non ha dato la “vita”. Qui invece Gesù si definisce il “pane vivente” che annulla del tutto la morte poiché chi si nutrirà di esso “vivrà in eterno”. Gesù afferma che è il “pane disceso dal cielo” (allusione al mistero dell’incarnazione) e usa il sostantivo “carne” (sarx) e trasmette la verità che è Lui l’unica fonte di vita e invita ad aderire a Lui “mangiando la sua carne”. Gesù si esprime con questo linguaggio forte che gli costerà il dissenso dei discepoli che gli diranno: “Questo discorso è duro. Chi può ascoltarlo?”. Anche i Giudei dimostrano di aver compreso, ma rifiutano il fatto che la salvezza possa scaturire dall’offerta che un uomo può fare di se stesso. Inoltre Gesù rincara la dose perché con il modo tipicamente semitico (“in verità in verità”) come per richiamare un messaggio autorevole ribadisce: “se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita”. La carne e il sangue significano la fragilità della condizione umana, ma simboleggiano anche i due elementi immancabili del sacrificio veterotestamentario. Il sacrificio di comunione (Lv 7,11s; Dt 12,13s) prevedeva infatti che la carne delle vittime venisse mangiata e il sangue venisse asperso sull’altare. È altresì affermato che il sangue è la fonte della vita. “La vita dell’essere vivente è nel sangue e io lo do a voi per espiare sull’altare per le vostre vite; il sangue, infatti, in quanto vita, espia”. Il sangue è la vita dell’uomo e solo Dio ne è l’autore. E c’è una relazione connessa con la vita e la vita di relazione: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me”. Il nutrimento eucaristico è quindi vita e relazione: dal Padre con il Figlio e del Figlio con quanti si nutrono di Lui e in virtù di questo hanno la vita per sempre. È un mistero ineffabile del quale godiamo più i frutti che non la comprensione. Si pensi ancora a san Tommaso d’Aquino: ha scritto opere eccelse anche relative al mistero eucaristico, ma ad un certo momento, in conseguenza di una particolare esperienza mistica, ha improvvisamente smesso di scrivere eliminando anche gli strumenti tipici dello scrittore. Si giustificò così: “Non posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto”.