“Ci vorrebbe un profeta, e anche buono, per capire il futuro della Georgia. Non sono per niente ottimista”. In queste parole di padre Witold Szulczynski, direttore della Caritas Georgia, in visita a Spoleto nei giorni scorsi, riusciamo a cogliere il profondo dolore di un Paese martoriato da una recente guerra – era l’agosto 2008, solo lo scorso anno, ma nessuno sembra più ricordarsene -, il grido di aiuto di un angolo di mondo bellissimo dove la pace, la libertà, la giustizia e la dignità umana sembrano dei miraggi. La terra di san Claudio chiede alla comunità internazionale, che vorrebbe vedere la Georgia nell’Unione europea, che il bene comune prevalga sugli interessi personali, che i diritti fondamentali dell’uomo siano protetti e rispettati. È l’opera non rumorosa della Chiesa cattolica, in un Paese ortodosso, a ricordare alla gente la loro dignità, a non far spegnere in loro la voglia di futuro, a garantirgli il minimo per sopravvivere. È la Chiesa, mediante la Caritas, che lavora per una civilizzazione dell’amore. Fino allo scoppio della guerra la frontiera tra la Georgia e l’Ossezia del Sud si trovava in un determinato punto. Dopo il conflitto, i carri armati russi sono entrati nel territorio georgiano e arrivati fino alla città di Gori. La gente che viveva tra il vecchio confine e Gori è fuggita verso Tbilisi. Quando è terminata la guerra, i russi si sono ritirati non al di là del vecchio confine, come sarebbe stato naturale, ma a metà strada tra Gori e il vecchio confine. I villaggi che si trovano in questa area attualmente sono fuori dalla Georgia e non vi potranno tornare. La gente, per lo più contadini, vive nei campi profughi, sradicata dalla propria terra, senza lavoro, con un aiuto del Governo di 9 euro al mese. La presenza della Chiesa ha salvato molte persone. “Non vedo il futuro di questa gente: sono condannati a vivere da profughi per molti anni”, afferma padre Witold. “Come Caritas, da quindici mesi aiutiamo le vittime di questa guerra. La prima emergenza è il cibo per i profughi: grazie all’archidiocesi di Spoleto-Norcia, che ha inviato quest’anno due container di alimenti, noi sfamiamo ogni giorno 1.800 persone. Abbiamo la mensa nel quartiere più grande di Tbilisi, a Isani. Pensate che il nostro panificio, grazie alla farina di Spoleto, prepara ogni giorno 1.000 porzioni di pizza e pane. Come Caritas garantiamo alla gente anche un’assistenza sanitaria: aiutiamo i profughi con i farmaci e con l’assistenza psicologica e psichiatrica. Abbiamo anche iniziato il servizio a domicilio per gli anziani immobili (circa 250 persone). Stiamo per aprire un asilo ricavato in un vecchio rudere e stiamo costruendo un’altra scuola materna a pochi chilometri dal nuovo confine con l’Ossezia del Sud. Abbiamo tanti volontari, uno italiano, e tante figure professionali, sia nella capitale che a Gori, città dove c’era la guerra, dove c’erano i carri armati russi. Abbiamo dottori, infermieri e cuochi professionali, coadiuvati da molti volontari. Grazie anche ai fondi raccolti a Spoleto, siamo riusciti a fare tanto, e continuiamo ogni giorno a farlo”.
Georgia: la Chiesa accanto alla gente
Un anno dopo la guerra con la Russia. La testimonianza di padre Witold
AUTORE:
Francesco Carlini