Per giovani e giovanissimi la sessualità è un tema presente, a volte spinoso, di cui comunque si parla. Ma con chi ne parlano? Genitori e insegnanti hanno sicuramente una responsabilità in materia; ma anche gli altri educatori, come quelli che i ragazzi incontrano in parrocchia.
La tematica è infatti inserita nel documento finale del Sinodo sui giovani, la Christus vivit, che sottolinea l’importanza di “educare la propria sessualità, in modo che sia sempre meno uno strumento per usare gli altri e sempre più una capacità di donarsi pienamente a una persona in modo esclusivo e generoso” (n. 265). Come veicolare questo concetto e come rispondere alle domande dei giovani?
Lo abbiamo chiesto ai coniugi Stefano e Rita Sereni, intervenuti sabato scorso a Perugia nell’ambito dell’incontro organizzato dall’Azione cattolica sul tema “Abitare la famiglia”.
Stefano e Rita, oltre a essere stati per diversi anni responsabili nazionali dell’area Famiglie e vita dell’Ac, sono genitori di due giovani di 27 e 20 anni, e sono anche educatori di un gruppo di giovanissimi nella loro diocesi di Terni- Narni-Amelia.
Come genitori
“Come genitori, in realtà, non siamo i primi interlocutori dei ragazzi sul tema sessualità. Per fare in modo che i nostri figli parlino con noi anche di queste cose molto intime, occorre entrare veramente in confidenza con loro e guadagnarsi la loro fiducia” dice Rita. E continua: “È stato così con la nostra figlia più piccola, con cui abbiamo fatto un percorso lungo e di delicatezza, senza il quale non si sarebbe aperta”. “Questi temi – aggiunge Stefano vengono trattati più che altro fuori casa.
Noi genitori cerchiamo di lanciare dei flash quando si presenta l’occasione, magari con qualche battuta. Da una parte, è sempre stato così: neanche io parlavo con i miei di questo argomento. D’altra parte, però, i genitori di oggi hanno un problema in più, rappresentato dal fatto che si è di molto abbassata l’età media del primo rapporto. Ecco perché sarebbe importante, anche come Chiesa, formare di più i genitori, che altrimenti rischiano di arrivare a parlare con i figli troppo tardi, quando questi hanno già fatto esperienza di qualche sconfitta”.
Come educatori
Diversa è la situazione fuori casa, dove i ragazzi parlano un po’ più liberamente anche di questo tema, perché “si sentono meno giudicati da una figura che non è quella paterna né materna” dice Rita. Qui entra in gioco la figura dell’educatore, che sia un insegnante o un animatore parrocchiale, il quale spesso si trova diparlandone nanzi a domande cui non è preparato.
“Come educatore prosegue Stefano – la difficoltà maggiore che ho affrontato è stata quella di trovare un equilibrio tra quelli che sono i tempi di oggi e una formulazione ‘vecchia’ sul tema sessualità, che ancora vige all’interno della Chiesa. La formulazione è ‘fermi tutti fino al matrimonio, poi se ne parla!’. Ma in un’epoca in cui pochi si sposano e sempre più tardi, se come educatori ci limitassimo a questa risposta, non riusciremmo più a parlare con nessuno”.
Esistono però vari seminari di formazione sul tema, organizzati nelle varie diocesi da Pastorali giovanili o familiari. “A parte alcune eccezioni, abbiamo notato,anche con gli educatori più giovani, che questa formazione non risulta totalmente efficace. In questi corsi infatti spesso si fa un ‘dribblaggio’, andando a parlare genericamente di ‘affettività’, che è un termine edulcorato e più pulito. Ma la verità è che il giovane poi non ti molla finché non rispondi alla sua domanda precisa: ‘Cosa posso fare con la mia fidanzata o il mio fidanzato?’”.
Allora gli educatori tentano di rispondere secondo la propria coscienza, come meglio possono. “Forse in un modo un po’ fuori dalle righe, noi di solito parliamo apertamente con i ragazzi, per rassicurarli e interrogarli sulla loro relazione, se sia o meno un rapporto stabile. Poi li invitiamo ancora a rifletterci per qualche giorno, e infine gli diciamo di ascoltare la loro coscienza e decidere. È la formazione delle coscienze la parte più difficile”.
Valentina Russo