Durante l’udienza generale in aula Paolo VI mercoledì, Benedetto XVI ha proseguito le sue catechesi sul Credo riflettendo su Dio “Creatore del cielo e della terra” a partire dal primo versetto della Bibbia: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1; testo completo della meditazione sul sito www. vatican.va).
La creazione – ha detto – “diventa luogo in cui conoscere e riconoscere l’onnipotenza del Signore e la sua bontà, e diventa appello alla fede di noi credenti perché proclamiamo Dio come creatore. La fede implica di saper riconoscere l’invisibile individuandone la traccia nel mondo visibile. Il credente può leggere il grande libro della Natura e intenderne il linguaggio, ma è necessaria la Sua parola di rivelazione, che suscita la fede, perché l’uomo possa giungere alla piena consapevolezza della realtà di Dio come creatore e Padre”.
Si è però subito chiesto: “Come dobbiamo comprendere le narrazioni della Genesi? La Bibbia non vuole essere un manuale di scienze naturali; vuole invece far comprendere la verità autentica e profonda delle cose. La verità fondamentale che i racconti della Genesi ci svelano è che il mondo non è un insieme di forze tra loro contrastanti, ma ha la sua origine e la sua stabilità nel Logos, nella Ragione eterna di Dio, che continua a sorreggere l’universo. C’è un disegno sul mondo che nasce da questa Ragione, dallo Spirito creatore. Credere che alla base di tutto ci sia questo, illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita”.
Tutta la seconda parte delle riflessioni del Pontefice era dedicata all’episodio-chiave del peccato originale. “Nei primi capitoli del libro della Genesi – ha riassunto Benedetto XVI – troviamo due immagini significative: il Giardino, con l’Albero della conoscenza del bene e del male, e il Serpente. Il Giardino ci dice che la realtà in cui Dio ha posto l’essere umano non è una foresta selvaggia, ma luogo che protegge, nutre e sostiene; e l’Uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, segno della sua volontà salvifica, dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nell’armonia, seguendone i ritmi e la logica, secondo il disegno di Dio”.
“Il Serpente – ha spiegato – è una figura che deriva dai culti orientali della fecondità, che affascinavano Israele e costituivano una costante tentazione di abbandonare la misteriosa alleanza con Dio. Alla luce di questo, la sacra Scrittura presenta la tentazione che subiscono Adamo ed Eva come il nocciolo della tentazione e del peccato. Che cosa dice infatti il Serpente? Non nega Dio, ma insinua una domanda subdola: ‘È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?’ (Gen 3,1)”.
“In questo modo il Serpente suscita il sospetto che l’alleanza con Dio sia come una catena che lega, che priva della libertà e delle cose più belle e preziose della vita. La tentazione diventa quella di costruirsi da soli il mondo in cui vivere, di non accettare i limiti dell’essere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità. La dipendenza dall’amore creatore di Dio è vista come un peso di cui liberarsi: questo è sempre il nocciolo della tentazione. Ma quando si falsa il rapporto con Dio, mettendosi al suo posto, tutti gli altri rapporti vengono alterati… Andando contro il suo Creatore, in realtà l’Uomo va contro se stesso, rinnega la sua origine e dunque la sua verità; e il male entra nel mondo, con la sua penosa catena di dolore e di morte. E se Dio l’aveva creato buono – ha aggiunto a braccio -, anzi molto buono, dopo questa libera decisione dell’Uomo, a causa della menzogna contro la verità, il male entra nel mondo”.
Il Papa ha concluso esortando: “Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio e accettare la nostra piccolezza, la nostra condizione di creature, lasciando che il Signore la ricolmi del Suo amore e così cresca la nostra vera grandezza. Il male, con il suo carico di dolore e di sofferenza, è un mistero che viene illuminato dalla luce della fede, che ci dà la certezza di poterne essere liberati. La certezza che è bene essere un Uomo”.
Il paradosso Uomo
Il Papa ha riassunto l’immagine biblica dell’essere umano definendolo “ben piccola cosa davanti all’immensità dell’universo. A volte, guardando affascinati le enormi distese del firmamento, anche noi abbiamo percepito la nostra limitatezza. L’essere umano è abitato da questo paradosso: la nostra piccolezza e la nostra caducità convivono con la grandezza di ciò che l’amore eterno di Dio ha voluto per noi… Tutti portiamo in noi l’alito vitale di Dio, e ogni vita umana sta sotto la particolare protezione di Dio. Questa è la ragione più profonda dell’inviolabilità della dignità umana contro ogni tentazione di valutare la persona secondo criteri utilitaristici e di potere. L’essere ad immagine e somiglianza di Dio indica poi che l’uomo non è chiuso in se stesso, ma ha un riferimento essenziale in Dio”.