Gli immigrati che vivono nei nostri quartieri spesso non li conosciamo. A volte, là dove c’è un servizio della Caritas, si riesce ad avere contatti occasionali con chi si presenta per chiedere un aiuto, ma spesso tutto finisce lì. Come fare, allora, per far sì che l’accoglienza non si limiti alla beneficenza che, tra l’latro, rischia di essere un duplicato di quanto già offre il centro d’ascolto della Caritas diocesana? Se lo sono chiesti nella parrocchia di Madonna Alta, a Perugia, pensando soprattutto a tutti quegli immigrati che sono battezzati ma che non hanno rapporti con la comunità cristiana. Come fare per rendere la comunione che nasce dalla fede una comunione anche umana, visibile e concreta? Dopo averci pensato su si sono dati da fare mobilitando anche i ragazzi del catechismo per fare una sorta di censimento delle famiglie di immigrati residenti in parrocchia, visto che neppure con la benedizione delle famiglie in quaresima si riesce a conoscerle tutte. Così è nata l’idea di gemellare ciascuna famiglia di extracomunitari presenti in parrocchia con una famiglia autoctona che si impegnava a stabilire rapporti personali di conoscenza, attenzione e amore con il nucleo familiare extracomunitario, e da qui fornire alla parrocchia elementi che consentano di tentare la soluzione dei problemi di sussistenza e di inserimenti che si fossero verificati, visto che molte di queste famiglie non sono in regola con i permessi di soggiorno e quindi, per la legge, clandestine. Dopo la conoscenza iniziale i membri della famiglia sono stati invitati a partecipare alla vita della parrocchia: messa la domenica, catechismo, preparazione ai sacramenti. A questo si aggiunge l’amicizia che si esprime anche nel pranzo comune che le famiglie perugine e immigrate fanno nella seconda domenica di ogni mese, o anche le iniziative di sostegno scolastico per i bambini che vanno a scuola, fino all’impegno, decisamente più difficile, di aiutarli nel lavoro e nella regolarizzazione delle loro situazioni. Nel notiziario della parrocchia “Incontro” (del mese di giugno) Emanuela, Flavio, Luigi, Sandro e Silvio hanno presentato la loro testimonianza su questa “avventura” alla ricerca dei “clandestini tra noi”. “E’ difficile immaginare come dentro i nostri bei palazzi si nasconda tanta umanità povera, dolorante, ferita, umiliata e sfruttata”, scrivono, introducendo il testo di cui riportiamo ampie parti. M.R.V.Quasi sempre si sente una grandesete di Dio e desiderio di pregare”(…) Sono già due settimane che tutte le sere ci rechiamo a casa di coloro che nel corso di questo ultimo anno hanno avuto rapporti anche sporadici con il nostro “Punto di ascolto Caritas” Questi rapporti hanno generato una grande confidenza, e in non pochi casi anche fiducia e sincero affetto; così coloro che ci accolgono raccontano, si sfogano, chiedono consiglio e aiuto (…).E’ difficile immaginare come dentro i nostri bei palazzi di Madonna Alta si nasconda tanta umanità dolorante, povera, ferita, umiliata e sfruttata. Entrare in una soffitta angusta e trovarvi tre persone che ti sembrano già “insaccate” e poi vederne uscire da ogni angolo un’altra, un’altra e un’altra ancora magari con un bambino in braccio e uno per mano. Vedere sottoscale, improbabili cantine e garage adibiti ad abitazioni in cui brulica una umanità varia per sesso, età e nazionalità, ma tutta accomunata dalla stessa precarietà ed indigenza. Scoprire famiglie diverse che convivono nello stesso garage mentre un semplice scaffale è il solo garante della loro privacy e della loro intimità (…).Spesso ci viene presentato il caso di persone con le più svariate patologie; non di rado si tratta di bambini, e quello che per noi potrebbe essere un problema risolvibile ancorché doloroso, per loro diventa un dramma a causa della scarsa conoscenza della lingua, delle pessime condizioni igieniche, della mancanza di assistenza sanitaria e per tanti altri intuibili motivi. Altro problema urgente da affrontare è quello dei bambini lasciati tutto il giorno a casa da soli mentre i genitori corrono in giro per la città a lavorare o in cerca di lavoro. La maggior parte degli extracomunitari “residenti” in parrocchia vengono da paesi cattolici, ma sono rare le famiglie iniziate con il matrimonio religioso, e molti bambini non sono stati battezzati. Eppure quasi sempre si sente una grande sete di Dio e desiderio di pregare. Dobbiamo farci carico anche di questa esigenza spirituale, provvedendo ad inserire tutti a pieno titolo nella comunità parrocchiale, pensando a catechesi specifiche e mirate, favorendo incontri di preghiera per gruppi omogenei. Il poco che abbiamo già provato è stato imprevedibilmente bello e commovente. Il problema dei “clandestini” è certamente politico, e non è la parrocchia sede per affrontarlo. Ma queste persone, queste famiglie che noi non abbiamo cercato, ma che hanno ritenuto l’emigrazione come unica soluzione per risolvere i loro problemi vitali, di fatto sono ora in mezzo a noi, e non possono sopravvivere senza la nostra responsabile solidarietà. Offrire loro aiuto diventa per noi cristiani dovere di carità, di cui Gesù ci chiede conto. Chi può apra il suo cuore e si affianchi a noi, piccolo insufficiente manipolo. Insieme e con l’aiuto di Dio, molti fratelli potranno aprirsi alla speranza”.
“Gemellaggio” tra famiglie immigrate e parrocchiali
Immigrazione / L'esperienza del gruppo Caritas della parrocchia di Madonna Alta
AUTORE:
Emanuela, Flavio, Luigi, Sandro, Silvio