Quasi 500 persone hanno partecipato in questi giorni al Laboratorio di studio promosso a Perugia dal 7 al 9 maggio, in preparazione al convegno ecclesiale di Firenze 2015.
Al centro congressi della Figc sede dei lavori, giovedì pomeriggio il cardinale Gualtiero Bassetti ha aperto i lavori con una riflessione sul valore dell’accoglienza declinato sulle tematiche perno del laboratorio, ovvero solidarietà, fraternità, identità, estraneità e relazioni, con il fine di portare un contributo ad un’umanesimo definito nuovo perché propositivo.
“Dobbiamo evitare di abbrutirci, puntando sempre alla ricerca dell’Assoluto”, è stata la frase più incisiva e ritwittata dai tanti follower del laboratorio. A moderare il dibattito don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo, che ha spiegato con queste parole l’impostazione del laboratorio: “Ci sentiamo interrogati sulla figura di Gesù e il nuovo umanesimo, intendendo il termine ‘nuovo’ come propositivo nei tempi in cui viviamo: cerchiamo di passare la visione di un umanesimo capace di dire qualcosa di buono per l’uomo di oggi, capendone le declinazioni che può assumere, dal punto di vista laico-filosofico e interreligioso, approfondendo i punti di contatto tra le tre religioni monoteistiche – cristianesimo, ebraismo e islamismo – e tra queste e le principali religioni orientali (buddismo e induismo)”.
Tutti i lavori del convegno sono stati trasmessi in streaming e i video sono disponibili on line (clicca qui per i video).
PRIMA GIORNATA
La prima giornata ha avuto un taglio di carattere filosofico e antropologico, con l’obiettivo di spiegare il significato della scelta del termine “nuovo umanesimo” (dove per nuovo s’intende capace di essere propositivo, in una dinamica di dialogo tra diversità volto ad arricchire gli interlocutori) e le sue declinazioni nel campo della ricerca filosofica (la relazione di Angelo Capecci, docente di Filosofia e prospettive di nuovo umanesimo all’ateneo di Perugia, si è incentrata sull’approfondimento del postulato “l’uomo è ciò che sceglie”, celebre nella trattazione filosofica) e dell’analisi dei fatti relativi alla storia contemporanea, grazie agli interventi degli storici Luciano Tosi, Marco Impagliazzo e Roberto Morozzo della Rocca.
L’evoluzione e l’andamento della religiosità in Europa. Marco Impagliazzo, docente di storia a Perugia e presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha offerto una relazione ricca di dati, utili a farsi un quadro dell’andamento socio-religioso in Europa, con particolare riguardo tra differenze e analogie che si stanno verificando in Italia e nella regione balcanica: “Nell’Europa contemporanea il 10% della popolazione è composta da immigrati o da persone di origine non europea – ha detto Impagliazzo -. Questo melting pot genera una pluralità di credenze religiose che obbligano ad un dialogo interreligioso sempre più fervente e importante, che non sia materia riservata a specialisti, ma da collocare in un cammino più vasto della Chiesa italiana. Il dialogo tra le religioni deve essere un fatto di popolo, che riguardi le Chiese locali, le parrocchie e i movimenti. Sostenere la fede delle popolazioni immigrate è necessario a rafforzare i legami comunitari, e salva dal rischio di una religione senza popolo. Papa Francesco nell’ultimo Concistoro ha parlato ai nuovi cardinali di pastorale dell’integrazione, stando attenti a non respingere nessuno. Nella Evangelii Gaudium c’è un passaggio che riecheggia lo spirito di Assisi trent’anni dopo: si parla infatti di mistica del vivere insieme, appoggiandoci a vicenda in una marea un po’ caotica che può trasformarsi in un santo pellegrinaggio”.
Tante analogie tra la religiosità italiana e quella balcanica. Il dialogo sull’Europa è proseguito analizzando il contesto dell’Europa balcanica e dei Paesi ex-comunisti con Roberto Morozzo della Rocca, docente di Storia dell’Europa contemporanea e Storia dell’Europa orientale all’ateneo di Roma Tre. Morozzo ha snocciolato i dati sull’andamento della religiosità popolare nei Paesi dell’Europa orientale, caratterizzati fino al 1989 dall’egemonia comunista, i quali solleticano il ragionamento sulla situazione attuale italiana. “In Polonia stanno rinascendo movimenti laicisti organizzati da polacchi che avevano vissuto il periodo comunista immigrando nei Paesi dell’Europa occidentale – ha spiegato Morozzo -, così come in Romania e nei Paesi balcanici in generale è pressoché assente l’ateismo dichiarato ma la religiosità è sempre più fragile, anche per la crescita del benessere economico grazie ai fondi europei. In Russia viene mantenuta in molte case la tradizione del cosiddetto “angolo delle icone” come luogo di preghiera, ma la pratica cristiana è poi quasi assente. Anche in Italia viviamo un periodo simile, con la religiosità che va disgregandosi anche tra coloro che si definiscono cristiani”.
Homo economicus e nuovo umanesimo. L’ultima tavola rotonda ha avuto come tema “Società civile, fraternità e dialogo interreligioso: prospettive di nuovo umanesimo”. Carlo Vinti dell’Università di Perugia e i docenti Francesco Fischetti, Mauro Letterio e Fulvio Longato hanno ragionato sulla necessità del dialogo tra culture e religioni differenti e spesso, per vari fattori, antagoniste. Più volte è stato citato il pensiero di Amartya Sen, il filosofo indiana premio Nobel per l’economia nel 1998, ma in particolare ha suscitato l’interesse del popolo virtuale (che ha seguito i lavori del convegno trasmesso in streaming sul sito www.firenze2015.it o twittando @Firenze_2015) la frase di Jacques Maritain “senza le religioni saremmo infinitamente più poveri e malvagi”. Su tale riflessione Fistetti ha analizzato il criterio di necessità della religione come elemento equilibrante della vita umana e – conseguentemente nonostante tutto – delle relazioni tra uomini. “Nell’homo economicus la libertà è intesa come non avere debiti con nessuno, introducendo il criterio razionale della giustizia di mercato, che diventa anche giustizia politica”.
Diritto internazionale e Magistero universale. Mauro Letterio ha cominciato la sua relazione citando Papa Francesco, il quale nel corso del suo ancora breve ma denso magistero ha parlato più volte “dell’uomo come essere relazionale”. Tale frase è in continuità con l’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e proseguendo in un’analisi storica del Diritto internazionale ha strutturato un parallelismo tra il crescendo del diritto e l’evoluzione del magistero ecclesiale. Infine Fulvio Longato ha esordito dicendo che “l’unità strutturale è basata su dignità, libertà, uguaglianza e fraternità, e l’implementazione dei diritti è strettamente legata alla crescita dei doveri”.
Nel video il direttore dell’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della Cei, don Cristiano Bettega, fa il punto sulla prima giornata di lavori
SECONDA GIORNATA – mattino
In apertura di giornata è stata la tavola rotonda “Dialogo: nel nome dell’Unico, per un’antropologia di pace” (introdotta dal vescovo di Città di Castello Mons. Domenico Cancian e le relazioni – introdotte da Brunetto Salvarani – del docente di teologia trinitaria Piero Coda e l’islamista Adnane Mokrani.
Il vescovo di Città di Castello Domenico Cancian
I parallelismi del dialogo interreligioso tra Cristianesimo e Islam. “Il monoteismo può essere garante di alterità, come principio universale e sotto il profilo etico”, ha detto mons. Piero Coda, docente di Teologia trinitaria alla Ius Sophia, che ha proseguito la relazione sttolineando che “l’unicità di Dio è rappresentata dall’unità nella verità, ed è fondamentale non rimanere sul pianio teorico ma scendere nella prassi, nella cultura e nella pastorale ecclesiale. Coda ha offerto una rilettura del “monoteismo trinitario cristiano” che “è attraversato al suo interno dal principio di alterità” e da una fraternità radicata nella Parola di Dio, che nella creazione dice “è bene che l’altro sia”.
Il teologo ha sottolineato l’esigenza di una “scuola di dialogo” in cui “imparare ad essere amici senza nascondere la propria identità, per discernere cosa è conforme alla fede nell’unico Dio e cosa è proiezione del nostro egoismo”. Questo, ha aggiunto, può essere il contributo dei credenti ad una società civile, politica, culturale “completamente sorda” su questo fronte, ancora incapace di prendere atto “della risorsa che di per sé le religioni possono costituire per la stessa società e i suoi assetti istituzionali”.
“La religione dovrebbe santificare l’uomo, ma l’uomo può santificare o falsificare la religione”. Con questa frase l’islamista Adnane Mokrani, tunisimo da oltre vent’anni in Italia, docente universitario e rappresentante del Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica, ha aperto la sua relazione nella quale ha proposto una interpretazione spirituale di alcuni passi del Corano per mostrare la contraffazione che del Libro sacro viene fatta da una lettura fondamentalista e violenta, una lettura che ne altera l’ispirazione profonda. Commentando alcuni testi del Corano, il relatore ha fatto notare che “i falsi nomi, le bugie sono all’origine della violenza, che è tale solo per le vittime: gli altri la chiamano con altri nomi, storia, civiltà… Nessuno ha il coraggio di dire i veri nomi, che sono violenza, sfruttamento”. E così, “la violenza verbale si trasforma in violenza teologica: è una rete satanica che non manca in certi ambienti religiosi”.
Ha fatto seguito il dibattito coordinato da Marco Bontempi sul tema del “Tavolo ebraico-cristiano-islamico”, con domande provenienti dal pubblico e dai follower che hanno seguito la diretta streaming sul sito www.firenze2015.it e sull’account Twitter @Firenze_2015.
SECONDA GIORNATA – pomeriggo
“Epifania dell’altro e disvelamento del sé”. Padre Giulio Michelini (membro della Giunta coordinatrice di Firenze 2015), ha aperto il pomeriggio presentando il tema ed i relatori, i docenti della Pontificia Università di Rio de Janeiro Maria Clara Bingemer e Paulo Fernando de Andrade, e la partecipazione di Roberto Repole, presidente dell’Associazione Teologica Italiana.
Da citare la frase di Maria Clara Bingemer “la giustizia è tale solo se interpellata da etica”, estrapolata dal pensiero del filosofo francese Emmanuel Lévinas. “Si tratta di un’etica – quella mistica – che non può essere marginalizzata e che deve caratterizzare la politica, affinché quest’ultima non si riduca, nella nostra era della globalizzazione, ad essere solo una mera attuazione delle richieste del mercato”.
Paulo Fernando de Andrade ha trattato il tema della “Chiesa dei poveri” che Papa Francesco ha fatto suo sin dalla scelta del nome, e parlando ai giornalisti, tre giorni dopo la sua elezione disse “come vorrei una Chiesa povera per i poveri”. Andrade, specializzato in teologia della liberazione e questioni etiche, ha ripercorso la storia del gruppo ““Gesù, la Chiesa e i poveri” che portò il tema nel Concilio Vaticano II, contando tra i suoi membri personaggi come Paul Gauthier, Helder Camara, e tra gli italiani Dossetti chiamato dal Cardinale Lercaro che seguì da vicino il lavoro del gruppo e portò nelle discussioni conciliari l’attenzione al tema.
Infine Roberto Repole ha offerta una riflessione teologica sul dialogo interreligioso: “Riflettere sulla fraternità è certamente offrire un contributo al nuovo umanesimo in Cristo. La Chiesa deve essere contrassegnata dalla fraternità, intesa in senso di apertura all’altro: un concetto di fraternità cristiana che non è filantropia, ma ospitalità affinché ciascuno trovi la sua identità, con la capacità di ospitare gli altri nella sua sconvolgente novità è la strada verso una chiesa in uscita, come intende Papa Francesco”.
Citando il teologo Ratzinger che nel 1961 scriveva che “la fraternità dei cristiani è fondata nella incorporazione in Cristo” ha sottolineato la forza dell’eucarestia il cui “fine non è solo la transustanziazione” del pane e del vino poichè “noi nello Spirito veniamo ospitati in Cristo divenendo così ospiti gli uni degli altri”. E se la fraternità si fonda sulla comune paternità di Dio “non tollera nessun gerarchismo”, scriveva Ratzinger, aggiungendo che questa “non è solo questione ecclesiologica ma teologica perchè è manifestazione del volto di Dio”. Per i cristiani la fraternità non è chiusa ma universale poiché “in Cristo non è stato creato solo il cristiano ma ogni essere umano”.
Dialogare tra popoli diversi presuppone un’etica economica. In conclusione di giornata il dibattito ha affrontato il tema “Etica ed economia: la ferita dell’altro” con Simone Poledrini (Università di Perugia), Emmanuel Gabellieri (Università Cattolica di Lione), Alain Caillè (Università Paris X) e Luigino Bruni (Università Lumsa), quest’ultimo autore di molti studi sulla relazione tra economia, civiltà e religione.
Gabellieri e Caillè hanno commentato alcuni testi di Bruni anticipando e preparando l’intervento di Bruni, molto atteso per lo spessore degli studi – anche recenti – che lo stesso economista ha svolto.
“Viviamo la cultura dell’invulnerabilità dovuta a sua volta alla cultura dell’immunità, nel senso che ci si lascia toccare dall’altro, dal diverso, dal povero. Per riflettere sulla cultura nella quale viviamo è opportuno riflettere sul significato dell’abbraccio di Francesco d’Assisi al lebbroso. Il dono è una faccenda molto seria che la nostra società ha ridotto a segni spesso ridotti e banali, quasi dei vaccini per immunizzarci dalla vera logica del dono. Domandiamoci se c’è compatibilità tra economia e logica del dono: la risposta è negativa, soprattutto negli ultimi anni. Infatti non possiamo paragonare il capitalismo italiano degli anni Ottanta con quello odierno.
Ragioniamo sul finanziamento del no-profit, che oggi è finanziato per un 50% dalle multinazionali del gioco dell’azzardo. Il dono è il cuore dell’economia occidentale, e per capirlo dobbiamo riprendere la Bibbia, per la precisione il libro di Giobbe, dove si ragiona sulla logica retributiva. Proseguendo nell’analisi storica, possiamo fare un salto in avanti arrivando al periodo della Riforma, dove la logica del dono fu uno dei motivi di scissione. Arrivando al mondo contemporaneo, la dimostrazione che la logica del dono attualmente non esiste è l’analisi dei temi neomanageriali, basati sulla grande spinta motivazionale del giovane, sottoposto a trattamenti economici talvolta imbarazzanti, e la logica dell’incentivo, dove l’impiegato nonostante sia assunto con regolare contratto necessita di un incentivo per dare il meglio di sé.
Questo denota che il lavoratore è inteso come un asino o un mulo utile a fare lavori di fatica. Oppure, nel caso degli insegnanti, l’incentivo economico sottintende pensarli come fannulloni che altrimenti non svolgerebbero appieno il proprio lavoro. Quindi, un mondo che non accoglie l’invulnerabilità è semplicemente un mondo invivibile”.
TERZA GIORNATA
Sabato mattina si è tenuta l’ultima sessione dedicata a “Dialogo: l’uomo, tra Oriente e Occidente”, moderata da Simone Morandini, dell’Istituto di Studi Ecumenici “San Bernardino” di Venezia, che ha introdotto gli intereventi di Massimo Raveri, dell’Università Ca’ Foscati di Venezia, Svamini Hamsananda Giri, dell’Unione Induista Italiana e di Osvaldo Santi, dell’Unione Buddista Italiana. Un confronto franco attraversato dalla domanda su come è visto l’uomo nelle tradizioni religiose orientali.
“Nella loro radicale alterità, le religioni orientali sfidano la crisi dell’Occidente”, ha esordito Raveri, che si è soffermato sul buddismo giapponese, per il quale “il mio io non ha alcuna consistenza ontologica”. Sta qui la “radicale differenza con il cristianesimo: alla fine dello svuotamento interiore, che per il cristianesimo è la kenosi, c’è la relazione con Dio, mentre nel buddismo c’è l’illuminazione del vuoto”. “È un errore considerare l’induismo politeista”. A spiegarlo, è stata Hamsananda Giri, monaca induista, che ha ricordato come l’induismo sia “una religione poliedrica, una filosofia di vita per cui nessuna verità è esclusa, ma viene accettata come tale”. Per l’induismo, cioè, “la verità è una, ma i saggi la chiamano, la invocano in molteplici nomi”. “Le religioni – ha concluso – devono essere sorelle: non si fanno concorrenza, devono sedersi intorno a un tavolo per ascoltare e arricchirsi delle reciproche differenze”. Osvaldo Santi ha sottolineato la dimensione dell’ascolto e della ricerca. “Dialogare vuol dire crescere di più nella propria spiritualità. Quando facciamo un percorso insieme, le differenze sono notevoli, ma ascoltare quanto mi viene detto mi fa crescere nella mia fede religiosa e comprenderla ancora di più”.
La sessione si è conclusa con l’esperienza di dialogo con l’Oriente vissuta accanto a don Luigi Giussani da Ambrogio Pisoni, delegato dell’Arcidiocesi di Milano per il dialogo con le religioni orientali.
LE CONCLUSIONI
Partecipare per esprimere le nostre idee per il futuro della nostra comunità, della Chiesa e della società. Questo è chiesto ai delegati nazionali al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze che sarà, lo ha anticipato Adriano Fabris concludendo a Perugia il primo dei tre Laboratori di studio in preparazione a Firenze.
Il Convegno di Firenze, ha detto Fabris, “non sarà un convegno in cui c’è solo l’ascolto ma un laboratorio di pensiero” in cui i delegati lavoreranno in piccoli gruppi e la partecipazione sarà “aperta” anche a chi non potrà essere presente grazie all’interattività sperimentata in queste giornate di Perugia trasmesse in streaming e commentate in diretta su Twitter e su Facebook.
Firenze, ha aggiunto, vuole esprimere “idee per il futuro” percorrendo le “due vie” sperimentate a Perugia, quella del dialogo con le scienze umane quali l’economia, la sociologia, la filosofia, e quella del dialogo con le religioni.
Tutti i relatori del Laboratorioperugino sono stati invitati a confrontarsi con la parola fraternità, la cenerentola delle tre parole-manifesto della Rivoluzione francese, messa tra parentesi, dimenticata nell’Ottocento e nel Novecento. Nelle giornate di Perugia, ha detto Fabris, docente di Teologia morale all’Università di Pisa, “le scienze umane ci hanno detto che la fraternità è fondamentale per uscire dalla crisi perché la fraternità è un’esigenza dell’uomo in quanto essere umano e non in quanto essere umano religioso, e ce lo hanno detto, per esempio, con la categoria del dono”.
Nel dialogo, ha aggiunto Fabris, qui a Perugia “sia gli esponenti delle religioni monoteiste, sia quelli delle religioni orientali ci hanno testimoniato che le religioni pur nelle difficoltà di un incontro tra molte tradizioni diverse e differenze linguaggi, hanno in loro stesse una tensione verso l’elemento della fraternità”. Rimettere al centro questa parola ha portato i relatori a dire cosa è l’uomo, e è emerso chiaramente che l’essere umano non è quell’individuo isolato che si mette in relazione con gli altri se e come vuole, come lo pensa gran parte della cultura contemporanea, ma è “un essere in relazione” che cresce, si forma, si esprime in relazione con gli altri, con l’ambiente, con l’Altro. “Siamo fratelli non lo ha detto Robespierre”, ha detto Fabris a sottolineare la necessità di “riappropriarsi delle parole proprie del cattolicesimo, che gli sono state scippate o che rischiano di essere distorte da altri ambienti e altri settori”.
“Noi cristiani abbiamo il dovere di riproporre la fraternità, in un contesto sociale improntato a ben altri valori”. Lo ha detto il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, portando il saluto conclusivo ai convegnisti. “Mi ha fatto piacere – ha aggiunto – che in queste tre giornate il tema del dialogo abbia avuto il suo giusto spazio, sia come riflessione teorica, ma anche come incontro reale tra persone di diverse convinzioni, ma con la certezza che al centro deve essere sempre messo, e oggi in particolare deve tornare ad essere, l’uomo”. Il Cardinale ha detto poi di aver trovato “molto interessanti” le due proposte fatte da mons. Piero Coda della “istituzione di un gruppo di lavoro sui tre monoteismi” che possa essere “spazio di incontro reale e di apertura a un nuovo umanesimo del dialogo” e poi “l’attivazione di un’assemblea interreligiosa, per mettere al centro l’uomo e il suo desiderio di assoluto”.
Don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Cei Ecumenismo e dialogo, ha invitato a chiudere i lavori con “un momento di dialogo particolare: un minuto di silenzio in cui essere uniti “nella preghiera anche se non con le stesse parole”.