Due mesi di emergenza, migliaia d’immigrati, decine di sacerdoti, religiosi e laici giunti in soccorso, un popolo che ha fatto a gara per aiutarli; e poi loro, i volontari, instancabili, guidati dal parroco di Lampedusa, don Stefano Nastasi, dal viceparroco, padre Vincent Mwagala, e da Dario Morreale, che sarà ordinato diacono a maggio ed è stato mandato dal Vescovo a prestare il suo servizio nell’isola. In questi giorni, sono stati strumenti di accoglienza, di soccorso e di misericordia, verso i fratelli sbarcati nell’isola di Porto Salvo. Come ha avuto inizio la vostra esperienza qui? Pilla: “Ci convocarono all’inizio in parrocchia per il bisogno di coperte e ci mettemmo a servizio, ‘svaligiando’ tutto e tutti, iniziando dall’armadio di mia madre (che ancora non sa che le ho tolto quasi tutto!). Fu una corsa della gente per portare roba alle prime persone giunte dalla Tunisia”. Raimondo: “Mi vidi passare un ragazzo, Helmi, che mi chiese di un tabaccaio: lo feci salire in macchina, chiesi a mia moglie Renata delle sigarette, ma poi lo feci venire a casa per dargli delle coperte. Rimase a mangiare a casa, poi lo accompagnai nella tendopoli. La sera dopo si coricò nella mia casa”. Cosa hai fatto in questi giorni? Loredana: “Un servizio continuo: ci siamo assicurati che stessero bene. Ci dividevamo tra l’ospedale e i giovani che stavano di giorno davanti al municipio dove io lavoro (con la mia amica e collega Rosa li facevamo mangiare e lavare). ‘Quanti figli ho!’, diceva sempre sorridendo Rosa. Quanti rimproveri ci siamo presi, ma era un’emergenza pazzesca”. Raimondo: “Con mia moglie caricavamo i loro cellulari, li facevamo lavare, davamo loro vestiti e li facevamo mangiare. A volte, loro portavano le patate per farsi preparare dei piatti cotti. Ci ringraziavano con delle torte e delle palme bellissime fatte da loro stessi”. Cosa ti ha spinto a farlo? Loredana: “Non lo so, ma più li aiutavamo, più eravamo felici di farlo, nonostante qualcuno ci criticasse. Ma non riuscivamo a fermarci”. Damiano: “Pensai che era necessaria soprattutto una parola di conforto per ciascuno”. Raimondo: “Sentii forte che Gesù mi avrebbe protetto anche dalle malattie di contagio. Ne ero certo e andai”.Franco: “Una chiamata spontanea, vedendo la disperazione. Quando ero triste, ecco che mi squillava sempre il telefono: erano gli amici che mi cercavano per un S.O.S. e io partivo all’istante. Felice!”. C’è un episodio che ti è rimasto impresso più degli altri? Damiano: “Finii di mangiare, una domenica, da mia madre e scesi per tornare a casa quando vidi sulla strada un ragazzo: gli portammo un panino con il tonno, ma lui guardava nel vuoto, ignorando il panino. Ci disse che voleva fare una doccia: era un bisogno di dignità. Allora lo portammo con noi e lui si mise a piangere”. Pilla: “Purtroppo è negativo: quando portammo un ragazzo alla Casa della fraternità (una struttura parrocchiale, ndr) con la febbre altissima e vidi la freddezza degli addetti ai lavori… la notte non presi sonno”. Enzo: “Una sera, quando andammo in uno dei locali dove dormivano, vidi – tra tantissimi giovani nervosi – una coppia e un bambino, ancora bagnati dalla traversata. Lui faceva di tutto per preparare una ‘cameretta’ improvvisata e lei stava lì impaurita. Il sindaco, poi, li portò nel suo residence e una sera portammo loro il cous-cous”. Che sensazioni provi, adesso, che pare tutto finito? Loredana: “Sono felice perché mi sono resa utile, nonostante la stanchezza e il momento difficile”.Raimondo: “Felice, sì, ma anche arrabbiato per Omar (un ragazzo rimasto sull’isola, per adesso): suo fratello e i suoi genitori non ne vogliono più sapere”. Franco: “Provo un po’ di angoscia. Qualcuno mi ha detto: ‘Tu vuoi i tunisini sempre qui?!’. Come faccio a spiegare loro che ho visto Cristo nei loro volti?”. Insieme a loro, come non ricordare tutti gli altri che, per questione di tempo, non ho potuto ascoltare. Non dimenticherò più la “pazzia” di Dario Morreale, che nel buio della tendopoli, tra i fuochi accesi e i volti tristi, li chiamava khouya, che in arabo significa “fratello mio”. La “collina della vergogna” è diventata, come il Golgota, il luogo della follia, sì, ma di Chi ha spogliato se stesso per fare “ricco” l’altro.
Fratelli di Lampedusa
La straordinaria esperienza dei volontari che in questi giorni di massima difficoltà hanno assistito i profughi provenienti dalla Tunisia
AUTORE:
Alessandro Cordaro