E’ appena finita a Bari la “Conferenza sull’infanzia”, e forse qualche buona idea da lì verrà per politiche a misura di bambino. Però le notizie concrete sull’attenzione reale ai nostri figli si trovano in altre pagine dei giornali. Ad esempio, sulla differenza tra Imu e Tasi. Infatti l’Imu, anche grazie a pressanti richieste del Forum delle associazioni familiari, aveva costruito un meccanismo di custodia delle famiglie con figli, concedendo sulle case di proprietà una detrazione fissa di 200 euro, più un’ulteriore detrazione di 50 euro per ogni figlio (fino all’ottavo). Quindi, avevamo detto, “finalmente una tassa che riconosce i carichi familiari”, nonostante le rilevanti obiezioni sull’idea di tassare la casa di residenza come se fosse un bene di lusso. Poi l’Imu è stata cancellata e reintrodotta nella forma della Tasi, nuova imposta comunale.
Purtroppo sulla Tasi sta succedendo ciò che avevamo previsto. Nel passaggio dall’Imu alla Tasi, il Governo non ha fissato un obbligo di destinazione per il pagamento delle aliquote maggiorate sulla seconda casa, e così ogni Comune fa come vuole. Sia decidendo la soglia dell’aliquota, sia, soprattutto, scegliendo se dedicare questa cifra a detrazioni per le famiglie con carichi familiari, oppure se concedere le detrazioni solo a partire dal reddito. Il Comune di Milano ha scelto la seconda ipotesi: si basa solo sul reddito, senza tenere conto del numero di figli. Eppure proprio alla Conferenza sull’infanzia di Bari un intero gruppo di lavoro è stato dedicato al tema della povertà dei bambini; la percentuale di minori sotto la soglia di povertà è infatti tra le più alte d’Europa, e in alcune aree del Paese avere il terzo figlio significa, per una famiglia su due, cadere sotto la soglia di povertà. Inoltre pare che non si adotti nemmeno l’Isee, strumento che tenta di dare equità familiare, ma si richiede il reddito individuale, che peraltro è notoriamente a rischio di evasione/elusione. Stiamo poi parlando di seconde case, e quindi adottare politiche fondate solo sul reddito sembra un po’ contraddittorio, avendo a che fare con famiglie che un po’ di risparmio e di patrimonio sono riuscite ad accumularlo: adottare i carichi familiari come criterio di equità sarebbe molto più appropriato perché, a parità di reddito, un figlio in più “fa la differenza”. Un po’ come la giunta Pizzarotti, a Parma, che ha emesso due tipi di bandi in vista di maggio 2014: uno per i progetti a favore della famiglia, senza finanziamento comunale, l’altro con finanziamenti comunali (fino al 100% se sotto i 1.000 euro) per i progetti di promozione dell’ideologia del gender. A conferma che anche per gli amministratori di Parma la famiglia riconosciuta dalla Costituzione non è considerata meritevole di sostegno, perché tanto il suo mestiere lo fa comunque, e ci si può vivere di rendita, sulla famiglia – che infatti viene osannata, in termini spesso retorici ed enfatici, come il “grande ammortizzatore sociale”. Espressione che denuncia, invece, il fallimento del nostro welfare.
I Comuni italiani hanno, di fronte alla Tasi, una grande occasione per dimostrare se l’equità familiare sta a cuore agli amministratori locali. Dispiace che la giunta Marino, a Roma, abbia cancellato le agevolazioni per le rette al nido del terzo figlio. Dispiace che la giunta Pisapia, a Milano, non consideri i carichi familiari un valore di solidarietà, e resti abbarbicata a un vecchio criterio monetario di ricchezza/povertà, su uno dei pochi strumenti di fiscalità locale su cui si può esercitare autonomia. Dispiace che la giunta Pizzarotti, a Parma, dopo aver cancellato il Quoziente Parma, abbia aumentato le rette per i servizi alla prima infanzia. Francamente appare davvero obsoleta e “antica” l’idea che la lotta alla povertà sia individualistica e riguardi solo il reddito: la dimensione familiare della povertà è ampiamente documentata nella letteratura, così come l’importanza delle relazioni familiari come risorsa di resistenza alla povertà (di resilienza, si diceva a Bari). È tempo di riscoprire una concreta alleanza tra politiche familiari e politiche di equità, anziché contrapporle ideologicamente. Perché siamo convinti, come scrivevamo nel 2006, che “i Comuni sono in prima linea” nella lotta contro la povertà delle famiglie. Però devono vederle, le famiglie, come una insostituibile risorsa per la società. E come il primo e irrinunciabile strumento di protezione dei diritti dell’infanzia. E allora, ogni amministratore comunale troverà al proprio fianco le nostre associazioni familiari, per costruire comunità locali family friendly, capaci di essere – proprio perché “a misura di famiglia” – anche “a misura di bambino”. C’è tempo per ripensarci: noi siamo pronti al confronto.