La rinuncia di Benedetto XVI cambierà la storia del papato? Sì, potrebbe cambiarla. Anzi, potrebbe cambiare il Papato stesso, o quanto meno la sua immagine. Vediamo perché.
Finora si sapeva che le dimissioni di un Papa erano possibili (ne parla anche il Codice di diritto canonico) ma sembrava un’ipotesi puramente teorica, realizzabile solo in situazioni di estrema eccezionalità. Fino a pochi decenni fa, la regola generale per tutti gli uffici ecclesiastici era quella della durata a vita. Poi, come sappiamo, è stato introdotto un limite di età (settantacinque anni) per i vescovi, i parroci, i capi dei Dicasteri vaticani. I cardinali restano a vita, ma con il compimento degli ottanta anni il loro titolo diventa in pratica solo onorifico.
Ora, il prossimo Papa, chiunque egli sia, si sentirà – ritengo – moralmente obbligato, sull’esempio di Benedetto XVI, a rinunciare a sua volta nel momento in cui si accorgerà che le forze lo staranno abbandonando. Le dimissioni papali non saranno più una eccezione ma diventeranno la regola, sia pure non scritta e senza scadenze precise. Ma da questo alla introduzione di una regola scritta, il passo sarà breve. Se diventa normale che il Papa – invecchiando o ammalandosi – si dimetta, tanto varrà stabilire senz’altro un limite di età. Il secondo passo potrebbe essere quello di fare del Papato un mandato di durata fissa e prestabilita, come quelli dei Capi di Stato nelle Repubbliche. Non c’è nessuna ragione teologica che lo vieti.
Ma se quello del Papa diventerà un incarico a termine, molte altre cose cambieranno. Sarà sempre un Pastore autorevole e amato, ma non sarà più circonfuso da quell’aura di sacralità che lo avvolge come una nube e nasconde la sua umanità, a cominciare dal cambiamento di nome (che non è una legge ma solo una tradizione), dal cerimoniale e dal vestiario: tutti segni anacronistici, di per sé privi di fondamento teologico e di significato spirituale. Ma il Papato non ci perderà: ci guadagnerà, come con la fine del potere temporale.