Leggendo ogni anno la relazione del ministro della Salute al Parlamento sulla legge 40/2004 ci si rende conto che si tratta di uno degli adempimenti formali, che finora non ha aiutato i parlamentari a rendere più rispettose della dignità e della vita umana di tutti i soggetti coinvolti (coppie desiderose di avere un figlio e gli embrioni prodotti) le tecniche artificiali di riproduzione umana.
Appare subito chiaro che la relazione è scritta secondo logiche imprenditoriali, utilizzando indici (percentuale di gravidanze su cicli iniziati: 19,70, percentuale di gravidanze su trasferimenti effettuati: 25,78%) che fanno apparire queste tecniche molto più efficaci di quanto lo siano realmente. Leggendo la tabella qui riportata risulta evidente che solo 9.818 (80 in Umbria) dei 105.324 (655 in Umbria) embrioni trasferiti in utero ha avuto la possibilità di nascere, mentre 95.506 embrioni, cioè il 90,68% degli embrioni trasferiti in utero, è stato sacrificato consapevolmente e volontariamente.
Il numero diventa maggiore se consideriamo che gli ovociti a fresco fecondati (zigoti) sono stati 154.902, cui si sommano i 12.611 embrioni scongelati e i 5.825 embrioni formati dai 12.437 ovociti scongelati, che portano a 173.338 (circa 1.326 in Umbria) il numero dei concepiti prodotti e a 154.381 (1.078 in Umbria) il numero dei concepiti sacrificati per far avere uno o più bambini a 8.002 delle 54.458 coppie trattate.
In sintesi, solo uno su 10 embrioni trasferiti in utero, e uno su 16 embrioni prodotti o scongelati, riesce a nascere, e solo il 14,92% delle coppie trattate riesce ad avere un figlio, mentre l’85,06% delle coppie rimane a braccia vuote, con meno soldi in tasca, dopo essersi sottoposte a bombardamenti ormonali e a procedure invasive e… spesso con la sindrome post-Fivet quando si rendono conto di aver esposto a morte certa due, tre, cinque, nove loro figli per tentare di avere un figlio.
In più, chiediamo al ministro della Salute di dirci perché la relazione trascuri sempre di riferire sull’altissimo costo in vite umane di tutte le tecniche di fecondazione in vitro (che rappresentano in Italia la prima causa certificata in assoluto di morte degli embrioni umani), di offrirci più informazioni e dati sui risultati dell’applicazione della fecondazione in vitro su alcune patologie, come l’infertilità endocrino-ovulatoria (nel 2012 sono state trattate 2.578 coppie); l’infertilità idiopatica (7.034); la poliabortività (459 coppie); il fattore genetico (441 coppie trattate) comparando i risultati ottenuti con le tecniche di fecondazione in vitro con quelle meno costose, meno rischiose per la salute della donna e meno mortifere per gli embrioni.
Rincresce dover segnalare che i finanziamenti ministeriali vengano utilizzati quasi in toto per potenziare le tecniche di riproduzione umana artificiale, e non per promuovere la vera terapia della sterilità coniugale (microchirurgia tubarica, crioconservazione del tessuto ovarico nelle donne prima delle terapie oncologiche e suo reimpianto nell’ovaio dopo la terapia) e per la divulgazione delle informazioni sull’autoconoscenza della fertilità della donna e della coppia, che senza alcuna spesa potrebbero aiutare – come già avviene da decenni (metodo Billings e metodi sinto-termici) – tante più coppie ad avere figli naturalmente.