Finalmente lo Stato mette paletti al gioco d’azzardo

Quante levate di scudi, che ondata di critiche, quale indignazione ha suscitato la decisione governativa di togliere ossigeno al gioco d’azzardo vietando la pubblicità dello stesso sui media, tutti i media! Dalle squadre di calcio che pagano i loro milionari giocatori con le sponsorizzazioni delle agenzie di scommesse, a giornali e tivù che – in carenza di introiti pubblicitari – non si fanno scrupolo di offrire i loro spazi a pagamento: il lamento è esteso.

L’Esecutivo ha in parte rimediato decidendo che i contratti in essere non saranno toccati fino alla scadenza; poi, giro di vite quanto mai doveroso. Perché il business si sta estendendo a macchia d’olio, e le vittime dello stesso sono in aumento esponenziale.

Il business, appunto, è semplicissimo: convincere sempre più polli a essere spennati. Perché la logica di tutte queste realtà è quella di spennare i polli. Incassare 100 per restituire 20, tanto per dire e nel migliore dei casi. I guadagni sono stratosferici e crescono col crescere della pubblicità che si fa al gioco d’azzardo.

Finora ci si era nascosti dietro la foglia di fico della rapidissima dichiarazione (scritta o detta) secondo cui “il gioco crea dipendenza”. No, è molto peggio: il gioco farà la felicità economica di pochi, ma in cambio rovina molti. Le realtà caritatevoli che si occupano di ludopatie non smettono di raccontare numeri e situazioni da brivido. Persone sul lastrico, famiglie rovinate, matrimoni saltati, ditte chiuse… È una lunga lista di situazioni che incrementano il disagio sociale, con lo Stato che finora chiudeva un paio d’occhi perché lui stesso direttamente coinvolto. Basta così. Anche la schiavitù era redditizia, ma i consorzi umani hanno scelto di privilegiare la dimensione etica a quella economica. E la ludopatia è una schiavitù dalla quale è difficile liberarsi, e per la quale è facile cadere nelle spire di tanti “gentiluomini” prontissimi a prestare soldi a tassi impossibili.

Usura, si chiama, ed è un reato. Inutile difendersi dicendo che così si consegnano i giocatori al mondo delle scommesse clandestine. Che comunque prosperano tuttora. È proprio il principio che non va: illudere la gente che la soluzione di tutti i problemi sia una schedina, una scommessa, una giocata. La fabbrica dei sogni che trasforma le vite delle persone in incubi. Stop, e bene così.

AUTORE: Nicola Salvagnin