In questo Anno della vita consacrata, passato, presente e futuro si uniscono mirabilmente nella memoria grata, nell’impegno appassionato e nella speranza certa che supera la precarietà delle mete intermedie per fissarsi ardentemente nell’amore stesso di Dio.
Uno dei luoghi comunitari di questa serena e fattiva tensione nel segno del Regno, che è già e non ancora , è dato a Città di Castello dalla congregazione delle suore “Figlie della Misericordia”, alla quale appartengo e di cui oggi vi parlo.
Siamo nate il 6 giugno del 1841, quando il nostro padre fondatore, il vescovo diocesano Giovanni Muzi, pensò di provvedere all’assistenza dei malati, degli orfani e degli abbandonati con personale specializzato, e soprattutto con donne animate da principi di autentica carità cristiana. Le “oblate” – così venivano chiamate le suore – non erano solo infermiere professionali o coordinatrici dell’attività ospedaliera, ma donne che, in silenzio e nel servizio, rendevano visibile e amabile ai sofferenti il volto di Cristo, il quale non manca di dare sollievo e speranza a chi si affida a Lui con umiltà e fede.
Mons. Muzi, con la Regola che ci ha lasciato, e le prime consorelle con la loro infaticabile testimonianza, costituiscono ancora la guida sicura per poter amare il prossimo della stessa carità di Cristo e per poter dare a ciascuno un senso salvifico al dolore. Da questo centro di valore derivò ben presto anche l’attenzione all’educazione dei fanciulli, che si concretizzò con l’apertura delle scuole materne, alcune delle quali (casa madre e Lama) esistono ancora. Carità, educazione e dedizione alla salute delle persone qualificano, dunque, fin dall’inizio la vita della nostra congregazione.
Il carisma, però, è caratterizzato profondamente dalla “figliolanza” e dalla “misericordia”, come se la divina Misericordia ci avesse partorito e costituito come “figlie” per rendere visibile e operativo un rapporto materno e filiale che contraddistingue la fede, ma anche dispone immediatamente alla carità.
L’odierna riscoperta della misericordia come via privilegiata di evangelizzazione e l’insistenza con cui ne parlano sia l’attuale nostro vescovo Domenico Cancian sia Papa Francesco riconducono tutti al cuore stesso del Vangelo. A noi, dunque, vengono richieste opere filiali di misericordia corporale e spirituale, che lascino intravedere la maternità e la paternità di Dio per declinarle a favore di tutti. Più precisamente, “le Figlie della Misericordia porteranno in corsia non [solo] un cuore materno, ma un cuore formato su quello di Gesù Cristo, avvampante della sua carità. È questo il luogo destinato specialmente dalla Provvidenza all’esercizio di tutte le virtù”.
Nel corso del tempo, soprattutto la professione di infermiere nel locale ospedale ha permesso alla nostra vocazione di svilupparsi come “infermarsi con gli infermi” e come ospitalità in forme che siamo chiamate costantemente a incarnare in maniera nuova nell’orizzonte ecclesiale universale, a partire dalla nostra Chiesa particolare.
Seguendo questo orientamento, dall’anno 2000 siamo presenti per l’assistenza infermieristica nella struttura dell’Onaosi di Perugia, e il 25 novembre 2011 tre nostre sorelle sono partite per la missione di Kisibere, diocesi di Kabgaji in Rwanda. Per noi che, per giunta, siamo anche avanti negli anni, è iniziata così una nuova esperienza, certamente affascinante e carica di problemi, che ci costringe a rimetterci in gioco, a ripensare la nostra esperienza, a purificarla di tanti orpelli, per calarci nelle concrete situazioni di sorelle culturalmente distanti alle quali non possiamo annunciare l’incarnazione del Signore senza incarnarci noi stesse.
Direbbe san Paolo: “Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io” (1Cor 9,22-23).