La sera di domenica 27 giugno nella Basilica di San Sabino a Spoleto si è tenuta la Festa della conversione di San Francesco organizzata dalla parrocchia guidata da don Davide Travagli e dalle famiglie francescane presenti in Città, ossia i Frati Minori, i Frati Minori Cappuccini e il Terz’Ordine francescano secolare.
Il sogno di Spoleto
Nel 1025 Francesco parte ancora una volta per la guerra: si arruola, infatti, come volontario per combattere le truppe pontificie in Puglia. Giunto a Spoleto, nei pressi di San Sabino, è visitato da un altro sogno. Si legge nelle Fonti Francescane (cf FF 1401): Mentre stava riposando, nel dormiveglia intese qualcuno che lo interrogava dove voleva andare. Francesco gli espose per intero il suo progetto. E quello: “Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?”. E avendo lui risposto: il padrone, quello riprese: “Perché, dunque, abbandoni il padrone per il servo, e il principe per il suddito?”. Allora Francesco domandò: Signore cosa vuoi che io faccia? E la voce: “Ritorna nella tua città e ti sarà detto che cosa devi fare”.
La serata di San Sabino, che ha concluso una serie di incontri tenuti ogni martedì del mese di giugno sul tema Dai sogni di grandezza…alla grandezza di un Sogno, si è tenuta nello spazio all’aperto dietro l’abside della chiesa ed è stata aperta da un’elevazione spirituale del coro dei Laudesi Umbri diretto da padre Matteo Ferraldeschi, OFM. A seguire c’è stata la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia monsignor Renato Boccardo, concelebrata dai presbiteri della Pievania del Sacro Cuore e dai Frati francescani di Monteluco e dei Cappuccini.
Le parole dell’Arcivescovo
Nell’omelia monsignor Boccardo ha commentato il Vangelo del giorno, che presentava due donne: una bimba di 12 anni che sta morendo e una donna adulta che da tempo perde sangue. Entrambe sono state salvate dalla forza che emana da Gesù e dalla sua fede. Per la bambina, la fede del padre, per la donna adulta la sua stessa fede.
“Sono immagini -ha detto il Presule- di sofferenza, d’impotenza e di fragilità. Tutte esperienze che viviamo anche noi. Chi di noi, infatti, non ha delle ferite che sanguinano, che non riusciamo a curare e rimarginare? La situazione della ragazzina e della donna diventa la riproposizione della nostra esperienza. Anche noi abbiamo bisogno di un medico, abbiamo bisogno di essere curati: tutti ci rendiamo conto che non riusciamo a rimanere in piedi da soli. L’umanità sta subendo una continua emorragia: di fiducia, di speranza, di verità. Una umanità che sta perdendo i suoi punti di riferimento e che pretende di cambiare le leggi di Dio e quelle della natura per adattarle al gusto e al comodo di qualche gruppo o di qualche corrente di pensiero.
La donna adulta del Vangelo -ha proseguito l’arcivescovo- è anche l’immagine della comunità e della Chiesa: noi cristiani stiamo perdendo l’essenziale di quello che è essere discepoli di Gesù. Rischiamo di disperderci in mille situazioni apparentemente religiose che si sono svuotate del loro contenuto. Ci troviamo di fronte ad un cristianesimo fatto di gesti, parole e tradizioni, ma che ha perso i suoi contenuti, non si agisce più secondo il pensiero di Gesù. Anche noi abbiamo bisogno di toccare il mantello del Signore e di ricevere da esso la vita nuova per riscoprire la verità, la fede vera, le radici della speranza.
Il Signore dice anche noi, alzati! E San Francesco -ha detto ancora l’arcivescovo- proprio qui a San Sabino ha avuto quel dialogo importante col Signore.
Ha saputo decidere, quella sera è come se avesse toccato il mantello di Gesù e ciò ha provocato in lui la decisione di tornare ad Assisi e la sua vita è diventata segno fecondo della potenza di Dio nella storia degli uomini. Francesco era un poveraccio come noi, pieno di limiti, di fragilità e di peccato; ma è stato capace di lasciarsi curare dal Signore e la sua vita non soltanto è stata rinnovata, ma è diventata esempio, attraverso i secoli, per la coscienza e la vita dei credenti”.