di Daris Giancarlini
Se ne discute, con qualche remora, strappi in avanti e ritorni indietro, ma se ne discute, sui giornali (molto) e in televisione (molto meno).
Quella che la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta allo sterminio degli ebrei, ha definito la “fascistizzazione del senso comune” o, in altre parole, la possibile riproposizione non soltanto di uno schema politico ma anche e soprattutto di un modo di pensare, viene affrontata da commentatori, studiosi e storici con l’atteggiamento di chi non vuole eccedere in valutazioni e giudizi che potrebbero travalicare i limiti dell’oggettività e della realtà storica.
Prudenza, dunque: se anche un ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio utilizza la frase “me ne frego”, non si può automaticamente attribuire a questo motto, storicamente datato, il bollo dell’evocazione del Ventennio. Proprio perché, appunto, la circostanze della storia sono completamente diverse.
E così sarebbe quanto meno azzardato paragonare, per esempio, l’esclusione dei bambini stranieri da un asilo di una provincia lombarda a quello che avvenne con gli alunni di origine ebraica nelle scuole elementari del Regno d’Italia la mattina in cui entrarono in vigore le leggi razziali.
È riflettendo su queste tematiche che mi è tornato tra le mani il volumetto, appena una cinquantina di pagine, uscito nel 1997, che raccoglieva il discorso che Umberto Eco, uno degli intellettuali italiani più raffinati e noti a livello internazionale, pronunciò il 25 aprile del 1995 alla Columbia University. Il titolo del libriccino, e della riflessione del sociologo autore del Nome della rosa, è “Il fascismo eterno”.
Eco, nel corso della sua riflessione, propone una lista di quelle che, secondo lui, sono le caratteristiche del fascismo eterno. Tra queste: il culto della tradizione, che non ammette avanzamento del sapere; il rifiuto del modernismo; il culto dell’azione per l’azione, che implica un atteggiamento di sospetto e repulsione nei confronti della cultura; la non accettazione della critica, che valuta il disaccordo come tradimento; la paura della differenza; l’appello alle classi medie frustrate; l’ossessione del complotto, sostenuta dalla xenofobia; il concepire il popolo come un’entità monolitica che esprime la volontà comune, da opporre ai governi parlamentari.
Fin qui l’analisi di Eco. Non una bibbia, certamente, ma un testo su cui riflettere. Senza timori e senza pregiudizi.