La malattia mentale, come il disagio psichico, sono tanto più pesanti per chi ne soffre e per chi gli sta vicino quanto più la si vive in solitudine. È per questo che l’esperienza dei gruppi di automutuoaiuto si sta diffondendo sempre più. A Gubbio sabato 24 è stata la giornata del Coordinamento Umbro de ‘Le Parole Ritrovate’. C’erano circa 300 persone provenienti anche da altre regioni ed anche il Vescovo di Gubbio mons. Mario Ceccobelli che segue con interesse l’esperienza alla quale collaborano in vario modo anche delle parrocchie. ‘Se ci chiedessero di esprimere in poche parole che cosa sia il movimento de ‘Le parole ritrovate’, la cosa più immediata che ci verrebbe di dire è questa: fare assieme’, hanno detto i coordinatori del movimento. Si tratta di diverse associazioni che mantenendo ciascuna la sua fisionomia e la propria attività collaborano dal 2001, da quando cioè il Centro Salute Mentale di Gubbio ha deciso di ‘mettere in moto una modalità di lavoro che mette al centro la responsabilità individuale, la partecipazione, il protagonismo di operatori, utenti e familiari, amici, associazioni, cittadini e volontari, provenienti dalla società civile e da istituzioni’. L’obiettivo? ‘Trovare insieme il modo di affrontare e superare il dolore e la sofferenza del vivere quotidiano, accogliendo l’altro nel rispetto reciproco e nella gioia di stare e fare assieme’. Attualmente fanno parte del coordinamento il Centro di salute mentale di Gubbio, l’associazione Crisalide, i gruppi di Auto-mutuo-aiuto (AMA), le associazioni Ancsa, Aifi, Aelc, Gubbio Soccorso, il CAI (sezione di Gubbio), l’Ambito n. 7, la Commissione Pari Opportunità del Comune di Gubbio, cittadini e volontari. Ciascuno mette a disposizione dell’altro quello che sa fare, Così il Cai organizza escursioni a cui possano partecipare anche i pazienti del csm, o la squadra di calcio locale partecipa ad un torneo sfidando la quadra della Casa famiglia, e tanto altro ancora. ‘Il fare rete, il dare sostegno, la reciprocità dei legami e di aiuto tra le persone – spiegano i coordinatori – non può essere considerato un ‘optional’, ma parte integrante del proprio essere cittadini. Il bisogno di socialità positiva non può essere trascurato, soprattutto quando la malattia rende ancora più soli ed accentua i sentimenti di inadeguatezza sia del paziente che di tutta la sua famiglia. Favorire esperienze di aggregazione e convergenze tra le persone acquista valore di per sé e diventa terapeutico, per i diretti interessati, certo, ma soprattutto ha un effetto benefico sul tessuto sociale circostante’.
“Fare” insieme come terapia e valore sociale
Si è svolto a Gubbio il convegno delle 'Parole ritrovate'
AUTORE:
Maria Rita Valli