È impossibile far coabitare nella propria coscienza la fede cattolica e il sostegno all’equiparazione fra unioni omosessuali e matrimonio”. Chi propone l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico di tale equiparazione, o vota in Parlamento a favore di una legge che vada in questa direzione, compie “un atto pubblicamente e gravemente immorale”. È il forte monito contenuto nella Nota dottrinale dell’arcivescovo di Bologna, card. Carlo Caffarra, su Matrimonio e unioni omosessuali. Ne parliamo con Giuseppe Dalla Torre, costituzionalista e rettore della Lumsa. L’Arcivescovo di Bologna definisce “devastante” l’eventuale equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. È così sul piano giuridico? “Uno dei pilastri non solo del nostro ordinamento, ma di tutta la tradizione giuridica, non solo italiana, è la concezione del matrimonio come istituto che si fonda sul rapporto tra un uomo e una donna. Nel caso specifico italiano, l’articolo 29 della Costituzione, al primo comma, parla di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio: il riferimento è ad una struttura di base dell’istituto familiare, aperta e finalizzata alla procreazione, che non è ‘disponibile’ per lo Stato. Quest’ultimo, in altre parole, non può modificarlo a proprio piacimento: la nostra Costituzione non consente di modificare la struttura naturale del matrimonio, che è sempre stata quella della diversità dei sessi. Non esistono strutture alternative”. Ne consegue che non può esistere alcuna “neutralità” dello Stato su una questione come questa? “Nel caso dell’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, saremmo in presenza di una pretesa, da parte dello Stato, di modifica di un istituto naturale. Si tratterebbe, dunque, di un intervento di tipo ideologico, che tende con la forza di una legge dello Stato a modificare le basi naturali di un istituto come quello matrimoniale. Non si tratterebbe, dunque, di neutralità, ma di un intervento di parte”. Per il card. Caffarra, la vera “discriminazione” consisterebbe nel non riconoscere il ruolo pubblico del matrimonio. Cosa ne pensa? “È indubbio che il matrimonio sia un istituto di carattere pubblico, perché serve a garantire l’ordine delle generazioni. Di qui la necessità di garantirne gli status, le condizioni giuridiche: al di là di ogni giudizio morale, le unioni omosessuali sono questioni eminentemente private, in quanto basate su rapporti affettivi che non hanno rilevanza pubblica, e dunque non hanno carattere di status. Il principio di non discriminazione è un principio generale, sancito dall’articolo 3 della Costituzione: il principio di uguaglianza comporta l’obbligo di trattare allo stesso modo situazioni uguali, non di trattare allo stesso modo situazioni diverse. Ciò violerebbe il principio di uguaglianza: è proprio questo che si verificherebbe, qualora venissero equiparate al matrimonio le unioni tra persone dello stesso sesso”. Ai politici viene ribadito: “È impossibile ritenersi cattolici se in un modo o nell’altro si riconosce il diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso”. “Riconoscere il matrimonio fra persone dello stesso sesso non ha senso, non solo in quanto cattolici ma in quanto uomini: anche il matrimonio fra battezzati non è che un matrimonio naturale, sia pure elevato a sacramento. Dire che l’istituto del matrimonio presuppone la diversità dei sessi non significa discriminare, o cedere a concezioni omofobiche: è un invito a non confondere il matrimonio con qualcos’altro. Su questo punto bisogna essere molto netti, senza cadere nella trappola – in cui molti vorrebbero far cadere i cattolici – d’invocare le ragioni della fede. Bisogna invocare, invece, le ragioni della ragione: è una questione di razionalità, sulla quale ogni persona di buona volontà può convenire”.