In prossimità al Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia (ottobre 2014) e a quello generale del prossimo anno, siamo invitati a guardare alla famiglia come luogo privilegiato di accoglienza, di festa e di missione. Da un’inchiesta del Censis risulta che, benché la famiglia sia oggi una delle realtà più tartassate dai mass media, dalle lobby ideologiche e politiche, dall’opinione pubblica, dal consumismo e dal disinteresse delle autorità, non si trova una realtà altrettanto forte. Essa è un riferimento ineludibile, che in fondo “tiene” e ancora oggi rappresenta la principale attesa dei giovani. Da qui l’invito a non guardare alla famiglia con la sensazione catastrofica che stiamo sostenendo con le nostre mani una diga che ci crolla addosso. Il contrasto tra la paura degli impegni definitivi e il bisogno di forte stabilità affettiva è tipico della nostra società. Sappiamo bene che la più grande fatica che debbono sostenere i giovani oggi è proprio quella di decidersi. Manca il “per sempre”, la promessa di un’unione totale, la cancellazione di quel “casomai” che quasi sempre costituisce l’alibi per due persone che cominciano a vivere insieme senza volersi assumere gli impegni e le responsabilità strettamente connessi al senso profondo del matrimonio cristiano. Come trasmettere allora i valori dell’indissolubilità, della fedeltà e del dono reciproco? I nostri genitori non ce li hanno insegnati a voce; noi li abbiamo visti resistere in momenti duri, difficili, e la loro testimonianza ci ha formato. Le famiglie possono trasmettere questi valori soprattutto con l’esempio di una fedeltà attiva, non subìta, di una fedeltà che vive le prove e le amarezze andando avanti lo stesso e superandole con l’aiuto del Signore. Un insegnamento di vita valido non va mai perduto! Appena sposati, si ha la sensazione che tutto sia bello (spesso lo è), e poi qualcosa succede. Che cosa fare? Anzitutto: è normale, è nella logica della vita che all’inizio tutte le cose siano belle, tutti i lavori sembrino interessanti, però… la vita ha il potere di rendere monotona e pesante la quotidianità, ed è un’esperienza necessaria.
È importante recuperare la verità dei rapporti, ritornando a quei valori di dono che sono stati consacrati dal sacramento del matrimonio; nelle cose pratiche, invece, talvolta è necessario anche saper cedere. In fondo, il puntiglio non paga mai; paga invece la pazienza, il “passare sopra”, il lasciare che il partner abbia una giornata nera, che sia irritato… Del resto, parlando delle espressioni della carità, san Paolo le riassume dicendo che essa “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. Occorre dunque tornare in modo chiaro ed esplicito all’annuncio del Vangelo del matrimonio. E bisogna ribadire che il matrimonio è Vangelo. Bisogna ripartire sempre di nuovo dalla vita bella, positiva, dalla vita che scaturisce dall’amore tra un uomo e un donna. Abbiamo bisogno di vedere la positività e la bellezza intrinseca dell’amore “per sempre”, dell’amore che fa desiderare l’altro/a e porta due persone a sposarsi. A volte abbiamo peccato di “difensivismo”, abbiamo cioè messo al primo posto la difesa dell’identità del matrimonio e della famiglia. Ci siamo illusi che enfatizzando la legge si creasse una sorta di barriera protettiva. Occorre invece passare a una visione e a un annuncio più attrattivo, più amabile. La “legge”, in senso biblico (Torah), è indicare una strada, una via. E indicare una via agli sposi e alle famiglie vuol dire mostrare l’esempio del Signore. In questo gesto sta l’autentica misericordia. Così, la missione affidata a ogni famiglia è far vedere, con lo stile e i contenuti della vita quotidiana, che “fare famiglia” è bello e vale la pena.