Della passione e dell’intelligenza di Giovanni Falcone non si dirà mai abbastanza. Se oggi sappiamo qualcosa in più di mafia e dintorni e, soprattutto, se abbiamo imparato un metodo per conoscere e perseguire il crimine organizzato, è grazie alle intuizioni di magistrati come Falcone e Borsellino. Per questo il trentennale della strage di Capaci non deve e non può ridursi a una celebrazione di circostanza, condita di retorica e cerimonie.
Dovremmo piuttosto ritrovare lucidità e coraggio per riprendere seriamente le linee d’azione che Falcone ha lasciato. Come la capacità di cercare la mafia nelle banche seguendo il “fiuto dei soldi”, e non solo nei quartieri degradati di Palermo; riuscire a riconoscerla nelle aree del Paese e del mondo in cui non te l’aspetti; colpirla al cuore dei propri interessi economici, e non solo con la detenzione dei suoi affiliati.
Dice Gian Carlo Caselli: “C’era il rischio concreto – con le stragi del 1992 – che la nostra democrazia crollasse. In forza di una compatta reazione corale (forze dell’ordine, magistratura, società civile, politica una volta tanto unita), fu però recuperato il metodo del pool di Falcone e Borsellino, riuscendo a produrre risultati che ci hanno salvati dall’abisso”.