di don Carlo Maccari,
teologo morale Ita
Proporzionalità delle cure, accanimento terapeutico, eutanasia. Questi tre termini o questioni mediche hanno un diverso significato, che porta con sé inevitabilmente un diverso giudizio morale. Non sono la stessa cosa, però purtroppo nel dibattito sull’eutanasia tra i “non addetti ai lavori” spesso vengono confusi.
Papa Francesco nel suo recente messaggio ai partecipanti al meeting regionale europeo della World Medical Association sulle questioni del “fine vita” ha il merito di distinguerle ribadendo la loro differente qualità morale.
Rifacendosi al documento del 1980 della Congregazione per la dottrina delle fede Dichiarazione sull’eutanasia chiarisce che vi è un criterio di “proporzionalità delle cure” che si oppone chiaramente all’accanimento terapeutico. “È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi – si legge al numero 4 del documento – quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medici veramente competenti; costoro potranno senza dubbio giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre”. Il Papa commenta e chiarisce così: “Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte”. Abbiamo in questa frase il diverso significato e di conseguenza la diversa valutazione morale: mentre è sempre lecito rifiutare una cura non proporzionale ai risultati che si possono ottenere, cioè agli effettivi benefici e miglioramenti per il malato, altresì non è mai lecito porre in atto mezzi tecnici o impiegare medici e infermieri per cure inutili, che non producono miglioramenti nella salute, ma addirittura risultano dannose per la condizione non solo fisica, ma anche psichica e morale del paziente, per questo tale atteggiamento è definito accanimento terapeutico.
Con eutanasia il Magistero della Chiesa da sempre intende quell’azione attiva (provocare direttamente la morte) o passiva (omettere un’azione indispensabile con la conseguenza di provocare la morte) che ha l’intenzione e lo scopo di togliere la vita e tale azione ribadisce Papa Francesco: “rimane sempre illecita”, come si legge anche nel documento del Pontificio consiglio Cor Unum, Alcune questioni etiche relative ai malati gravi e ai morenti, numeri 3.1 e 3.3. Il dibattito sull’eutanasia dovrebbe spostarsi dalla questione dell’autodeterminazione del paziente, poiché la vita umana concepita come dono non può diventare un diritto utilitarista da rivendicare come possesso arbitraria di se stessi, ma dovrebbe sempre di più e con maggiore competenza concentrarsi sulla proporzionalità delle cure, sulle maggiori e qualificate competenze mediche, ed infine sulla famiglia del paziente. La decisione sul fine della propria vita non potrà essere concepita come una scelta soggettiva decisa a prescindere da tutto e da tutti, come del resto non lo è stata la decisione di nascere, ma essa richiederà un dialogo sincero pieno di amore e di verità tra il medico, il paziente e la sua famiglia che lo ama e se ne prende cura.