Nel preambolo alla bozza di Costituzione europea ha trovato posto un richiamo “alle eredità culturali, religiose e umanistiche”, formulato con faticoso travaglio. Come cittadini europei e non solo come cristiani, avremmo auspicato una menzione del cristianesimo come realtà che per secoli ha rappresentato l’unità plurale delle popolazioni del vecchio continente. Si tratta di un’eredità che è venuta configurandosi in feconda comunicazione con l’ebraismo, radice del cristianesimo e presenza sempre eloquente in Europa, e con l’islam. Detto questo circa le radici, resta tuttavia aperto un interrogativo ancor più problematico: i cristiani oggi hanno una “parola cristiana” da dire sull’Europa? L’Europa, infatti, non è un articolo di fede, né un principio strutturale della chiesa: il suo stesso progetto di unione non è esente dalla tentazione di Babele. Il cammino di unificazione europea interessa i cittadini cristiani, ma l’Europa non è, né può essere, la Gerusalemme celeste che scende dall’alto e nemmeno il popolo di Dio! I cristiani, infatti, non possono dimenticare che ogni tentativo di unificazione di popoli diversi è sì positivo, ma a condizione che non si realizzi “contro” altri popoli o altre aree del mondo, che si spengano i nazionalismi e non si inneschi la miscela esplosiva di religione e patria! Altrimenti si rischia di progettare una nuova cristianità europea capace di coniugare potenze economiche, politiche e culturali con la religione, ma non si giungerà mai a un’Europa senza ideologia eurocentrica, a uno spazio di pace, di confronto e di dialogo tra culture diverse. Oggi le diverse chiese condividono la convinzione della necessaria distinzione tra religione e politica: i cristiani non vogliono uno stato confessionale, ma ambiscono – secondo l’espressione di Giovanni Paolo II – a uno stato segnato da “una giusta laicità”, in cui tutti i cittadini possano sentirsi rappresentati, a qualunque fede, etica e cultura appartengano, nel rispetto reciproco. Così i cristiani cercheranno di aprire cammini assieme agli altri uomini, con loro si sforzeranno di edificare la polis senza titoli di privilegio, senza ricette infallibili, senza pretese di egemonia. Il Vangelo, infatti, ispira i loro progetti ma non ne detta la forma di realizzazione, da ricercarsi assieme agli altri cittadini non cristiani. Essere cristiani significherà allora impegno a servizio della comunità politica, indicazione di vie per l’Europa caratterizzate da orientamenti etici quali la giustizia, la partecipazione di tutti al benessere, la pace e la convivenza come qualità della vita. Allora l’Unione europea non sarà un “bene” esclusivo per i propri cittadini, bensì estensibile a tutti gli altri paesi del mondo. Esiste poi un altro contributo che i cristiani sono chiamati a dare per restare fedeli al Vangelo e autenticamente “profetici”: la ricerca dell’unità. Unità dei cristiani, innanzitutto: se i discepoli di Gesù Cristo continuano a essere divisi e non riescono nemmeno a incontrarsi per discutere i motivi di dissenso, allora il loro stesso agire per il progresso della fede risulterà svilito e la loro eventuale e occasionale alleanza su singoli aspetti della normativa europea sarà letta dai non cristiani come strategia di una lobby volta ad acquisire peso e potere presso le istituzioni politiche. Occorre che l’ecumenismo, dichiarato come impegno irrinunciabile delle chiese, divenga un atteggiamento quotidiano che non consenta a una chiesa di avanzare senza l’altra o, peggio ancora, contro di essa: solo così si potrà predisporre tutto in vista di una comunione autentica e feconda. Una simile unità delle chiese sarà allora anche servizio all’unità dell’intero genere umano.
Europa: sì alle radici cristiane, ma mai “contro” gli altri
RADICI CRISTIANE DELL'EUROPA / 11 L'intervento di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose
AUTORE:
Enzo Bianchi