Ci sarà ancora la regione Umbria? Il governo Renzi nell’ambito delle riforme costituzionali aveva annunciato anche la creazione di macro-regioni. Nel dicembre scorso il Pd aveva presentato un disegno di legge costituzionale per ridurre il loro numero da 20 a 12.
Secondo questa proposta, l’Umbria entrerebbe a fare parte della Regione appenninica con la Toscana e la provincia di Viterbo. Una riforma che stravolgerebbe l’attuale assetto amministrativo (e forse anche il quadro politico) dell’Italia. Sul tema però è calato il silenzio, mentre si continua a litigare sulla riforma del Senato e sulla nuova legge elettorale.
Delle macro-regioni però si è tornato a parlare alla fine della scorsa settimana nelle Giornate della geografia, l’incontro annuale dei geografi italiani, che per la prima volta si è svolto a Perugia, organizzato dalla Università degli studi con il coordinamento del prof. Giovanni De Santis. Il tema della prima tavola rotonda era infatti “L’Umbria, regione centrale nell’Italia di mezzo”.
Una posizione di centro che – come emerso dai lavori – l’Umbria occupa soltanto nelle carte geografiche. Non lo è infatti dal punto di vista economico, e con una popolazione in cui gli anziani con più di 65 anni sono percentualmente superiori alla media nazionale.
Una regione di 900.000 abitanti, tanti quanti ne conta un grande quartiere di Roma, che non è mai esistita nelle carte geografiche prima dell’Unità d’ Italia e che – come ha detto lo storico Mario Tosti – è una “costruzione amministrativa”.
Dunque l’Umbria come ente Regione è da cancellare? Una domanda alla quale non possono rispondere i geografi ma i politici, i quali invece – come ha sottolineato il giurista Paolo Rossi – hanno fatto calare il silenzio su una questione complessa che rischierebbe di rimettere in discussione delicati equilibri tra le forze politiche in campo.
L’Umbria geograficamente – ha detto l’economista Sergio Sacchi – è proprio il centro dell’Italia, ma non dal punto di vista economico. Nel 1980 aveva un Pil superiore alla media nazionale, ora non è più così. Soprattutto negli ultimi anni c’è stata una discesa costante, con l’aumento del lavoro precario e irregolare e una diminuzione della capacità di esportare. Dal punto di vista dei parametri economici, l’Umbria – ha spiegato – si colloca al 12° posto tra le 20 regioni italiane. “Dunque – ha sintetizzato – l’essere al centro evidentemente non paga”.
Anche per le difficoltà nei collegamenti stradali e ferroviari, ha osservato il prof. Carlo Pongetti, dell’Università di Macerata, che ha coordinato la tavola rotonda.
Problemi aperti
Dall’intervento del demografo Odoardo Bussini è emerso che l’Umbria è una regione con tanti vecchi e pochi giovani. Il 24,2% degli abitanti hanno più di 65 anni, una percentuale che supera del 2,6% la media nazionale e dell’1,8 quella dell’Italia centrale. Nella classifica degli “over 65” è preceduta soltanto da Liguria, Friuli e Toscana. C’è poi anche una forte riduzione della natalità, superiore alla media nazionale e anche a quella dell’Italia centrale. Le persone che muoiono sono il 3,2% in più dei nati, con un calo demografico cominciato già negli anni ’90 e compensato solo dall’arrivo di immigrati.
Umbria proiettata verso l’Adriatico o verso il Tirreno? Il progetto di riforma costituzionale, con l’Umbria inserita nella Regione appenninica con Toscana e Viterbo, “ci proietta – ha detto ancora il prof. Paolo Rossi – verso il Tirreno”. Di questo si era discusso anche in Umbria, con pareri contrari tra chi lo condivide e chi invece preferisce una “proiezione verso l’Adriatico” con una macro-regione comprendente le Marche.
“Una riforma però – ha ricordato il giurista – della quale non si parla più e che sembra essere un non-problema, il grande assente nel dibattito politico”. Perché? “Si dovrebbero rimettere le mani sulla riforma elettorale e alle Circoscrizioni – ha risposto – riponendo in discussione delicati equilibri politici”.
Nel suo intervento il prof. Mario Tosti, presidente dell’Isuc (Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea), ha sottolineato la “difficoltà di identificare l’Umbria” che per secoli è stata caratterizzata da una frammentazione territoriale. È soltanto con l’Unità d’Italia che ha cominciato ad assumere una sua identità. In merito poi al progetto per le macro-regioni, Tosti ha detto che la Storia insegna che la ridefinizione di assetti amministrativi “non funziona se calata dal centro. Sono invece operazioni che vanno costruite dal basso, tenendo conto delle diversità e delle vocazioni dei territori e della valorizzazione delle autonomie locali”.
“Ogni soluzione – per l’economista Sergio Sacchi – ha aspetti positivi e negativi”. Se si dovesse andare avanti nel progetto di macro-regioni, a suo parere l’Umbria dovrà superare la “riserva mentale” di sentirsi al centro. “Io – ha concluso parlando con La Voce – sogno una Umbria come provincia di una macro-regione”.
Il demografo Bussini: abbiamo bisogno degli immigrati
L’Umbria, regione di vecchi, è stata ringiovanita dagli immigrati; ma il loro apporto si sta esaurendo. Lo ha sottolineato nel suo intervento il prof. Odoardo Bussini, docente dell’ateneo perugino. Dalla fine dell’Ottocento agli anni Settanta del secolo scorso, 263.000 umbri hanno lasciato la loro terra per cercare fortuna altrove, il 70% all’estero e gli altri in altre regioni d’Italia.
Negli anni Ottanta, l’inversione di tendenza: l’Umbria diventa meta di immigrati. Oggi quelli regolari sono circa 100.000, l’11% della popolazione. Percentuale che colloca la regione al terzo posto in Italia dopo Emilia Romagna e Lombardia. “L’Umbria – ha detto ancora – è un buon esempio di integrazione: i nuovi abitanti si occupano dei nostri anziani, fanno lavori poco ambiti dagli italiani, vanno a scuola e giocano con i nostri figli. Questo loro contributo al ringiovanimento della nostra popolazione si sta però esaurendo, anche per colpa della crisi economica. Stiamo assistendo – ha aggiunto Bussini parlando con La Voce – a questa fuga di massa da Paesi colpiti da guerre e carestie.
È un fenomeno storico destinato a durare e che dobbiamo governare, perché abbiamo ancora bisogno di immigrati da integrare nella nostra economia e nella nostra società. Le ultime stime delle Nazioni Unite dicono che la popolazione nel mondo nei prossimi decenni continuerà a crescere. In Europa siamo 700 milioni, ma nella sola Africa sub-sahariana si supereranno i 2 miliardi.
In Italia solo 13 abitanti su 100 hanno meno di 15 anni, mentre in Africa e negli altri Paesi del cosiddetto terzo mondo sono 35-40, quasi la metà della popolazione. Ci saranno dunque milioni di persone, in gran parte giovani, che nei prossimi decenni inevitabilmente non avranno pane sufficiente nei loro Paesi e quindi premeranno in massa ai confini delle nazioni dell’Occidente. Certo non basteranno i muri a fermarli. E tutto questo avverrà mentre in Italia, senza il loro apporto, saremo sempre di meno e sempre più vecchi”.