La regia di Un posto al sole, di Un medico in famiglia, de La Squadra, di Elisa di Rivombrosa e tante altre “firme” televisive, cinematografiche e teatrali fanno di Stefano Alleva uno dei maggiori registi italiani. Piemontese di nascita, milanese di adozione, insieme alla moglie (Ewa Spaldo, attrice) e ai tre figli ha scelto di vivere a Spoleto, città nella quale ha dato vita all’associazione culturale Harvey, centro permanente di attività culturali e di spettacolo per giovani. È stato aiuto regista del film Il viaggio della speranza, premio Oscar nel 1991 come miglior film straniero. Lo abbiamo incontrato e intervistato.
Come nasce Stefano Alleva regista, e soprattutto come è arrivato a tanto successo? “Ho fatto un percorso di lavoro molto graduale. Fin da bambino desideravo poter lavorare in questo settore, quello del cinema, del teatro e della televisione. Avevo la consapevolezza che la regia fosse la professione che più mi appassionava e più mi si addiceva. L’ho voluto tenacemente e me lo sono un po’ conquistato sul campo. In un mondo in cui si perde di vista la necessità della gradualità delle cose, del sapersi conquistare i risultati per passi successivi, sono abbastanza orgoglioso di questo aspetto. Il regista è una professione come tutte le altre: non ‘si nasce imparati’. La mia fu una scelta dura, in contrasto con quelle che erano le linee tracciate dalla mia famiglia di origine, famiglia di avvocati. Ho iniziato da nulla, con tenacia, grande passione e volontà. Ho cominciato dai ruoli più modesti e ho, nel tempo, raccolto esperienze molto ampie in tutto il settore dello spettacolo. Piano piano sono arrivato al traguardo prefissato. Ringrazio il Cielo di esserci riuscito. Il mio percorso mi ha formato in maniera profonda. Sono consapevole che fare il regista significa avere una conoscenza ampia e profonda di questo mestiere, che si conquista solo sul campo. Guardo con sospetto coloro che, pur avendo del talento, all’improvviso decidono e si autopromuovono registi. Il talento si raggiunge e si coltiva con l’esperienza e con il lavoro”.
Da più parti si sente dire che il livello culturale della televisione italiana si è livellato verso il basso, sta diventando sempre più quella che Karl Popper definiva cattiva maestra. Qual è il pensiero di Stefano Alleva, che la televisione la fa? “Non posso negare, perché sarei ipocrita e sciocco, una fortissima preoccupazione. Vivo momenti di grande sconforto per quello che vedo, per l’offerta dei nostri canali televisivi, per le direzioni, per le linee editoriali che vengono prese. Credo che la maggior parte delle proposte che ci vengono fatte siano molto scadenti, se non deleterie. Nel tempo c’è stato un fortissimo degrado della televisione, la quale, sono convinto, ha ancora un’alta funzione formativa ed educativa. Alla gente, in special modo ai giovani e ai bambini, si offrono modelli di riferimento deviati e devianti. Credo che si debba fare una brusca sterzata per ridare una dignità molto forte all’offerta dei programmi televisivi. Noi che scriviamo programmi e fiction dobbiamo avere più responsabilità. Io personalmente la avverto e faccio delle scelte molto precise, a volte pagando molto cara la mia coerenza. Sarebbe molto facile accettare qualsiasi proposta, guadagnare un mucchio di soldi, chiudere gli occhi, disinteressarsi dei contenuti. Ho rifiutato proposte di lavoro anche molto importanti, facendo scelte di coerenza legate alla mia fede. Non posso disgiungere la mia vita professionale dalla fede. Comunque, ripeto che sono molto preoccupato”.
Ma oltre alla critica è necessario dare delle possibili proposte alternative. E Stefano Alleva, insieme alla moglie, lo fa a Spoleto con l’Associazione Culturale Harvey… “Si rivolge direttamente al mondo giovanile. Io e mia moglie abbiamo scelto l’Umbria come terra adottiva, dove porre le nostre radici, dove crescere i nostri figli. Abbiamo voluto creare l’associazione con delle precise finalità: contribuire allo sviluppo e alla valorizzazione del territorio umbro; lavorare con i giovani, proponendo la nostra esperienza, affinché possa essere una testimonianza formativa, che vada nella direzione della qualità dei contenuti. Con dei laboratori (teatro, musica, danza, cinema) è nostra intenzione farci messaggeri che l’essere attore, regista o comunque ‘membro’ del mondo dello spettacolo, comporta una grande dignità. Vogliamo far capire ai giovani che si può essere attori con la A maiuscola”.
Nel mondo dello spettacolo, dunque, è possibile coniugare arte e fede, credere nei giovani, farli crescere professionalmente, ma soprattutto farli diventare uomini e donne maturi, con degli ideali forti e con capacità critica. Chiediamo ad Alleva un messaggio di incoraggiamento per tutti i ragazzi umbri che danno vita a centinaia di realtà teatrali, associative ecc. “So che in Umbria ci sono molte realtà amatoriali, con persone che per farlo rinunciano al loro tempo libero. Sono un grande incoraggiamento. Posso dirgli di essere tenaci, di avere fiducia e di essere solidali. Io penso che valga il vecchio principio che l’unione fa la forza. Le compagnie amatoriali devono sostenersi a vicenda, pur preservando le loro specifiche finalità. Più ci si unisce e più risultati si ottengono. L’Umbria ha potenzialità eccezionali in termini di risorse umane. Sta a noi rimboccarci le maniche”.