di Tonio Dell’Olio*
Per anni abbiamo ripetuto che mons. Romero era “un vescovo vescovo fatto popolo” perché della sua gente aveva interiorizzato la storia, il pianto, il sangue e le speranze. Ora che finalmente è stato riconosciuto santo, bisogna ammettere che c’è una dose di santità, ovvero di testimonianza profetica e coraggiosa, evangelica, anche nel popolo salvadoregno.
Sì, perché il tributo di sangue pagato dai campesinos e dalla gente semplice di quel minuscolo Paese centroamericano è stato drammatico e scandaloso, nel corso degli anni in cui si alternavano dittature militari e false democrazie eterodirette dagli Usa, che con Regan arrivarono a definire El Salvador come “cortile di casa”.
A Clinton, che ebbe il coraggio di aprire solo alcuni dei fogli di archivio dei servizi segreti che riguardavano il Centroamerica, non restò che chiedere scusa davanti alla storia… e alla geografia. Per questo il significato storico e politico di quella canonizzazione parla molto chiaramente da Oltretevere al mondo intero, e fa scoprire con evidenza che non c’è altra parte da cui la comunità cristiana possa schierarsi se non quella dei poveri, ovvero delle vittime. Anche a costo della propria vita.
*presidente della Pro Civitate Christiana – Assisi