Se il Papa, ricevendo i Vescovi italiani, dice che in questo periodo in Italia c’è un clima nuovo e lui se ne rallegra, qualcuno pensa e scrive che ha voluto dare la benedizione al Governo e al suo indiscusso leader Berlusconi. Se, invece, il card. Raffaele Renato Martino o il vescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i migranti, intervengono sulla questione degli immigrati e dei clandestini, si pensa e si scrive che sono contro la maggioranza che vuole più stretti controlli sugli immigrati. Se andiamo a ragionare più cautamente, troviamo che il Papa parlava del clima più tranquillo e operoso riferendosi al quadro politico con minore conflittualità tra maggioranza e opposizione. Il Papa infatti a proposito della situazione politica ha ribadito: ‘Non siamo schierati e neppure ritirati’. E così, mons. Marchetto ha detto e scritto sull’Osservatore Romano (4 giugno), in un articolo intitolato ‘L’integrazione dei migranti, valore di civiltà’, che la Chiesa ‘addita con forza, ma anche con mansuetudine, le eventuali mancanze di equilibrio nella tensione tra sicurezza e accoglienza’, che sono due criteri di comportamento da mettere sempre insieme. Fa osservare che ‘i flussi migratori all’alba del terzo millennio rappresentano circa 195 milioni di persone’ e, pertanto, è un fenomeno sul quale ci si deve muovere con grande senso di responsabilità e cautela, tenendo in piedi diverse esigenze; che riguardano prima di tutto i Paesi di origine, che dovrebbero favorire i cittadini a rimanere nella propria terra, senza costringerli a cercare altrove una vita degna. ‘Tuttavia, il raggiungimento del bene comune dell’intera umanità – aggiunge – richiede sostegno, solidarietà, assistenza e cooperazione degli altri’. Tutto ciò comporta che non si debbano fare facili equiparazioni ‘tra immigrato irregolare e criminale, anche se ovviamente chi si trasferisce in un Paese deve osservare le regole sociali e giuridiche’.Tornando a Benedetto XVI, anziché voler sempre vedere nei suoi interventi l’aspetto più controverso in un senso o in un altro, sarebbe bene per tutti riferirsi ai suoi grandi discorsi in cui addita la pace e la giustizia tra le nazioni. Il 3 giugno scorso, ad esempio, è stato letto nella sede della Fao un suo messaggio in cui si dice che la povertà e la fame non sono una fatalità della natura, ma sono causate da ‘limiti strutturali, da politiche protezionistiche, da fenomeni speculativi che relegano intere popolazioni ai margini dei processi di sviluppo’. E ribadisce con severità e forza che ‘la fame e la malnutrizione sono inaccettabili in un mondo che, in realtà, dispone di livelli di produzione, di risorse e di conoscenze sufficienti per mettere fine a tali drammi ed alle loro conseguenze’. Senza fare polemiche, la Santa Sede – spesso identificata con il Vaticano, che ne è solo il braccio strumentale per le relazioni internazionali – oggi rappresenta la cattedra più credibile per l’assenza di interessi commerciali e di mercato che, invece, inquinano i rapporti tra i Governi. Si pensi alla convenzione per le bombe a grappolo, così fortemente caldeggiata dalla Santa Sede, che quattro grandi nazioni si sono rifiutate di firmare. Benedetto XVI nel suo insegnamento, anche in questo campo, indica ai popoli la legge delle genti, la legge naturale iscritta nel cuore di tutti gli uomini Non vuole, pertanto, cattolicizzare il mondo, come qualcuno teme, ma umanizzare la vita dei popoli.
Equivoci e pregiudizi
AUTORE:
Elio Bromuri