Nelle letture dell’Epifania leggiamo che “tutti verranno da Saba, portando oro e incenso”. “Tutti” cioè la totalità delle “genti” salirà a Gerusalemme “proclamando le glorie del Signore”, secondo quando profetizza Isaia in quello che è considerato il messaggio ‘consolatore’ rivolto alla comunità libera perché ormai ritornata dall’esilio. La prospettiva universalistica è dunque fortemente marcata perché nel brano di Isaia (60,1-6) che la Solennità dell’Epifania ci propone si fa riferimento ai popoli del mare (ovest), alle città dell’Arabia (sud), al deserto della Siria (nord) e ai tesori dell’oriente (est). La gloria del Signore non sarà quindi goduta solo dagli israeliti, ma da tutte le “genti” che riconosceranno il Signore, Dio d’Israele, come unico Dio.
Anche il Salmista canta all’atteso Re-Messia e anticipa l’onore che Gli dovrà essere universalmente tributato: “Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti”. E il Re-Messia si è fatto uno di noi e Paolo, come in diverse occasioni ribadisce (At 22,21; 26,17; Gal 1,16), -benché i suoi sentimenti dimostrino che vorrebbe prodigarsi per il popolo giudaico- è stato chiamato ad annunciare Gesù Cristo ai pagani perché ha acquisito la consapevolezza “che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Già al momento della nascita i primi a visitare Gesù sono stati i ‘lontani’ e a narrare l’evento è la bellissima pagina del Vangelo secondo Matteo (e solo lui) che descrive l’arrivo di “alcuni Magi (che) vennero da oriente”.
I ‘maghi’ (questo il significato letterale del greco màgoi) potrebbero essere ebrei della diaspora mai tornati da Babilonia oppure sapienti ‘stranieri’. Lo storico greco Erodoto parla dell’esistenza, nel VI secolo a. C. nella regione della Media, di sacerdoti-maghi confluiti poi -in conseguenza della dominazione persiana- nella religione zoroastriana e quindi ancora esistenti al suo tempo (430 a. C.). Anche nel Libro del profeta Daniele (II sec. a. C.) si parla della presenza alla corte di Nabucodonosor di maghi e astrologi (1,20; 2,2; 4,4; 5,7) e Daniele, che svela il significato del sogno di Nabucodonosor (2,48), è dal re stesso riconosciuto al di sopra di tutti i saggi (costituiti dall’insieme dei maghi, indovini e astrologi che facevano parte del suo seguito). Nel I secolo d. C. lo scrittore ebreo Giuseppe Flavio informa di un certo Atomos (cipriota) che eseguiva arti magiche in Palestina, e Filone d’Alessandria, filoso greco di origine e cultura ebraica, in una sua opera distingue i maghi ‘scienziati’ da quelli ciarlatani.
Di certo i nostri ‘magi’, poiché si interessano del “sorgere di una stella” sono da considerare come quelli di cui parla il Libro di Daniele, ovvero saggi, astronomi, consiglieri dei re, rappresentanti dell’intellighenzia del tempo (tenendo conto oltretutto che la Bibbia rifiuta la pratica della magia). Secondo le ipotesi più attendibili possono provenire da Babilonia, o dalla Persia o dall’Arabia, comunque da “oriente” e dopo la visita al Bambino fanno “ritorno al loro paese”.
Il “sorgere di una stella” può essere ricondotto alla profezia messianica secondo cui “una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17) oppure all’evento che l’astronomo Keplero vide nel 1604 cioè la congiunzione dei pianeti Giove, Saturno e Marte che, secondo i calcoli, si sarebbe già verificata intorno al periodo in cui è collocata la nascita di Gesù.
Come voleva il ‘protocollo’, i ‘magi’ portano doni al Bambino-Re, doni che la tradizione cristiana ha interpretato come omaggi all’Uomo-Re (l’oro), al Figlio di Dio (l’incenso) e al Redentore (la mirra era usata anche per la sepoltura). È interessante notare che sono gli stessi doni che avevano accompagnato il corteo nuziale di Salomone in procinto di sposarsi con la figlia del faraone (Ct 3,6). Con la loro visita, i ‘magi’ ripropongono quindi il corteo aggiungendo l’atteggiamento della prostrazione e riconoscendo così il vero Re, lo Sposo dell’umanità.
Ma riflettiamo su una tappa del percorso dei ‘magi’. I ‘magi’ si avviano verso Gesù attraverso lo studio del fenomeno naturale della “stella”, ma hanno bisogno della Parola di Dio per completare la loro conoscenza. Infatti, solo dopo che Erode ha convocato i sacerdoti e gli scribi i quali hanno risposto citando il profeta Michea che a Betlemme sarebbe uscito “il pastore del mio popolo, Israele”, solo dopo ciò i ‘magi’ arrivano a Betlemme.
Da un lato, gli ‘esperti’ della Sacra Scrittura sanno, ma non giungono a Gesù; dall’altro, gli ‘scienziati’ arrivano a Gesù, ma solo dopo aver accolto il messaggio della Sacra Scrittura attraverso la mediazione dei sacerdoti e degli scribi. I ‘magi’ sono sapienti, ma riconoscono una sapienza superiore che proviene dalla Parola di Dio; sono ‘lontani’ eppure si sottopongono al viaggio per l’incontro con ‘il’ Re.
Questi sapienti insegnano che la natura, la scienza, la filosofia avvicinano a Dio, e quindi “tutti”, anche chi pensa di non aver fede può ‘scorgere’ Dio, ma il passo di qualità che fa ottenere la “grande gioia” dell’incontro con Cristo come hanno fatto i ‘magi’, solo con la Parola di Dio può essere completato. I ‘magi’ suscitano quindi ammirazione per la loro scienza e nello stesso momento stupiscono per la grande umiltà perché si sono aperti all’Ascolto a quel tipo di Ascolto che ha fatto loro muovere i passi dalla grande Gerusalemme dove erano giunti in virtù della loro ‘ricerca’, verso la modesta Betlemme dove hanno trovato Colui che desideravano vedere e Lo hanno poi contemplato e omaggiato generosamente.
La pagina del Vangelo secondo Matteo invita dunque a “fare ciò che fecero loro stessi. In questo giorno Cristo ricevette dei doni: voi mettete la mano nelle vostre borse e tiratene fuori quel che torna gradito a Cristo, il quale ha voluto rendersi bisognoso nella persona dei suoi poveri” (Sant’Agostino, 204/A).
Giuseppina Bruscolotti