Era un giorno d’estate, il 6 agosto (1978), come oggi, mentre scrivo queste poche righe. Mi trovavo con amici in montagna al Passo della Mendola insieme a protestanti, ortodossi e cristiani di altre confessioni per un corso di ecumenismo e dialogo. Nel bel mezzo di un incontro, una persona interrompe il discorso e dà notizia che è morto Papa Montini, Paolo VI. Vi fu intensa commozione, e venne aperta una riflessione sul personaggio. La notizia dov’è? Sta nel fatto, credo inedito, che alcuni evangelici avevano le lacrime agli occhi. È famoso e proverbiale l’anti-papalismo dei protestanti, molti dei quali in passato avevano identificato il Papa con l’Anticristo. Perché questa inattesa commozione? Perché lo avevano conosciuto di persona in qualche occasione, ad esempio nella presentazione delle prime traduzioni interconfessionali del Vangelo in lingua italiana corrente, le prime traduzioni da tempo completate per tutta la Bibbia (la famosa Tilc, Traduzione interconfessionale in lingua corrente) pubblicata da una casa editrice cattolica, LDC, e una protestante, Claudiana. Oggi Papa Francesco fa spesso riferimento a Paolo VI, esaltandone la lungimiranza e citando come del tutto attuali i documenti da lui emanati. Credo anche che Francesco si senta in sintonia con Montini come persona e come stile pastorale. È Paolo VI che ha tagliato via i segni del potere papale, il triregno, l’Ordine della nobiltà vaticana e altri orpelli. È riconosciuto da personalità di ambito ecumenico come un vero cristiano.
Commentando la sua visita al Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra nel 1969, dove si presentò dicendo: “Io sono Pietro”, un personaggio di quell’ambiente disse: “Credevamo di incontrare un principe, un sovrano, mentre si mostrò come un semplice cristiano”. L’umanità e la profondità di sentimenti di Papa Montini si sono espresse al mondo in occasione della tragica vicenda del sequestro e uccisione di Aldo Moro e della sua scorta. Chi lo ha ascoltato allora non potrà dimenticarlo, il grido di dolore quasi soffocato dall’angoscia, e pur sospinto verso una soprannaturale speranza (13 maggio 1978): “Tu non ci hai ascoltato, o Dio della vita e della morte”, come il grido di Giobbe ferito nella sua stessa carne. Soprattutto Paolo VI lo ricordiamo e lo ricorda la storia della Chiesa e dell’umanità come colui che ha guidato e condotto a termine il Concilio come un esperto pilota. È stato detto che Giovanni XXIII ha fatto decollare l’aereo, ma chi ha guidato il volo e l’ha fatto atterrare è stato Montini, l’esile Pontefice che la stampa descriveva come fosse un Amleto incerto e dubbioso. In questi giorni di violenza e di guerra vera e propria, sembra giusto ricordare il grande discorso in cui Montini, un Papa per la prima volta nella sede dell’assemblea generale dell’Onu (4 ottobre 1965), grida e ripete con insistenza in francese a quei rappresentanti di tutte le nazioni: “Mai più la guerra, mai più la guerra”. Noi in Umbria abbiamo molti motivi di ricordo di questo Papa che non deve essere dimenticato; a Perugia, in modo particolare, ha lasciato un segno che in qualche modo continua nella biblioteca “Giuseppe Toniolo”, in parte a lui dovuta, frutto dell’amicizia con don Luigi Piastrelli che lo aveva preceduto come assistente nazionale della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), che in questi giorni sta celebrando a Camaldoli la sua Settimana teologica. Questa memoria che mi si è quasi imposta naturalmente e semplicemente per la coincidenza di una data da non sorvolare: la festa della Trasfigurazione, ma può anche servire per collocare l’azione pastorale di Papa Francesco nel grande alveo di una Chiesa che scorre nei secoli come un grande fiume, sempre capace di ricevere affluenti e rivoli da ogni parte.