di Fausto Sciurpa
Al momento dell’impegno e della scelta politica, in un quadro pluralistico di prospettive spesso parziali e antitetiche, non facilmente componibili, la coscienza cristiana, spesso lacerata da valori in conflitto, mentre si orienta per l’una o l’altra scelta, ne dovrà saper valutare responsabilmente e criticamente l’opportunità (etica della responsabilità) e la coerenza (etica della convinzione). Al tempo stesso, quale che sia la scelta, dovrà adoperarsi per creare le condizioni generali (il bene comune) favorevoli alla crescita e all’esercizio dei valori in cui crede.
La difesa di “singoli” valori, comunque importanti e decisivi per la vita delle persone e dell’intera società, non può prescindere dal quadro generale in cui quei valori andranno vissuti e che, anzi, ne renderanno possibile l’attuazione come scelta libera e responsabile, e non ‘costretta’ in maniera diretta o indiretta.
Se come cristiani, e non semplicemente in nome della fede ma anche di convinzioni umanistiche più generali, dobbiamo chiedere il rispetto della vita fin dallo stato iniziale a quello terminale, tanto più dobbiamo chiedere che si creino le condizioni sociali, economiche, culturali, a che la vita sia adeguatamente accolta, curata, protetta, promossa, offrendo servizi efficienti e diffusi, che permettano di svilupparne le potenzialità. Il rispetto della vita, in ogni sua fase, alla base di una convivenza veramente umana e giusta, non può essere disgiunto dalla promozione della persona in tutti gli stadi di crescita e in tutte le sue espressioni.
Tra queste ultime, soprattutto la centralità del lavoro, nel quale la persona non solo acquisisce risorse economiche per sé e la famiglia, ma esprime la propria creatività e originalità. Nel lavoro la persona trova lo spazio del suo reale sviluppo; la mancanza (disoccupazione), come l’aleatorietà (precariato), oltre al danno sociale, costituiscono innanzitutto un vero e proprio “spreco antropologico”, una perdita di libertà e dignità della persona. Impegnarsi per la vita, inoltre, significa opporsi a tutto ciò che crea cultura di morte, riposta in modelli di comportamento ispirati al più sfrenato individualismo e disprezzo degli altri; significa. impegnarsi per una cultura della solidarietà che, senza disattendere il corrispettivo della sussidiarietà, eviti forme di chiusura particolaristica.
Sul piano civile, forte è avvertita l’esigenza di ridare nobiltà, rispettabilità al confronto politico e all’esercizio rigoroso e convinto della democrazia rifiutando la logica ostile dell’amico-nemico, coltivando la cultura dell’“amicizia civile” che, pur a partire da posizioni differenziate, si fa carico del bene comune. Condizioni essenziali di un confronto civile, non rissoso e volgare, è il rispetto della onorabilità delle persone, e del pari la correttezza, l’onestà pubblica e privata nei comportamenti.
Nell’ambito ecclesiale, il pluralismo delle scelte politiche non può, non deve trasformarsi in rottura ed esclusione dalla comunione ecclesiale, il cui criterio non è dato dallo schieramento politico, quanto piuttosto (anche se non solo) dall’impegno per la messa in opera effettiva dei valori, dei princìpi, degli orientamenti che nella dottrina sociale della Chiesa hanno il loro riferimento ideale e nella prassi la verifica reale.
Su un piano più generale è necessario uno sguardo ampio della politica, una visione più larga ed etica, che rifugga da ogni caduta nazionalistica e deriva verso interessi immediati e parziali, aprendosi a una progettualità inclusiva, con una visione allargata al mondo intero, non ripiegata solo sul ‘cortile’ del proprio territorio che, comunque, non è immune dalle scosse telluriche anche a notevole distanza.