La fede è una cosa seria, ma anche l’educazione: ciascuna ha le sue regole e le sue dinamiche, che non si possono impunemente mescolare. Non sono la stessa cosa, né possono diventarlo; si possono però utilmente incontrare, a diversi livelli, sul comune terreno della persona e della comunità umana. Un primo spazio d’incontro è quello dell’educatore; un credente, infatti, è portatore di una visione che rimanda allo sguardo creatore di Dio. La persona che si ha di fronte è prima di tutto un dono e una grazia: la sua personalità, i suoi talenti, la sua storia, persino i suoi limiti… non possono essere ridotti a materiale grezzo o considerati tabula rasa. Nemmeno in nome di obiettivi utili socialmente o funzionali al sistema produttivo. Ogni vita infatti è un unicum, portatrice di una ricchezza che esige di essere scoperta, fatta emergere, messa a disposizione di sé e degli altri. Chi ha il dono della fede vive la relazione educativa con un realistico ottimismo, che sa del peccato e dell’errore che segnano l’esistenza dell’uomo, ma che ha soprattutto presente come “anche nel giovane più disgraziato c’è un punto accessibile al bene” (don Bosco). Proprio su questo punto si cerca di far leva per tirare fuori il meglio da ciascuno. L’educatore credente vive inoltre la reciprocità educativa non come una tassa da pagare, ma con la gioia di chi sa accogliere dai ragazzi e dai giovani le energie, i desideri, i sogni di felicità che Dio non cessa di seminare nei loro cuori. La giovinezza di spirito che spesso è dato di osservare in educatori anche molto anziani è il portato di questa interazione reale e profonda, arricchita dalla certezza dell’opera di un Educatore invisibile, che parla ed agisce nel profondo dell’anima di ogni ragazzo, suscitando a volte risposte inaspettate. Un secondo luogo di incontro è quello dell’educando. L’orizzonte della fede, infatti, dà al percorso di crescita una diversa e più profonda capacità di aprirsi alla realtà. La consapevolezza – e ancor più l’esperienza – che la propria vita è dotata di senso, poiché è stata voluta, è amata ed è chiamata ad uno specifico destino, sostengono il ragazzo ed il giovane nell’affrontare le difficoltà del proprio cammino e nell’orientarlo a qualcosa per cui valga davvero la pena spendere le proprie energie. La dimensione vocazionale dell’esistenza, che solo nella fede può venire scoperta ed accolta, conferisce motivazioni e significati a tutta una serie di esperienze che altrimenti rischiano di essere fraintese, banalizzate o rifiutate. La vita smette di essere una “passione inutile” per divenire avventura e progetto; non da consumare in fretta e senza pensare, ma da assumere con realismo e speranza. La relazione educativa, così decisiva per ogni individuo, acquista uno spessore ulteriore, perché mette in gioco la persona vivente di Cristo ed il suo popolo. Un terzo ambito di incontro è – appunto – quello della comunità. Ogni azione educativa accade, infatti, in un contesto relazionale più ampio di quello interpersonale; entrano in gioco le dinamiche intergenerazionali e collettive, capaci di condizionare in modo pesante il percorso di crescita. La Chiesa è una comunità umana peculiare, per la capacità di mettere insieme in modo creativo la fedeltà al proprio passato (quella “Tradizione” con la T maiuscola che rimanda a Gesù) e l’apertura a ciò che è nuovo. Non si tratta dell’abilità nel compromesso, ma della percezione della perenne novità dello Spirito e del suo darsi anche attraverso i piccoli. Dall’esterno la comunità cristiana viene spesso dipinta come un’istituzione chiusa e vecchia, ma chi frequenta – ad esempio – l’oratorio si accorge che spesso è uno dei pochi spazi di autentico protagonismo giovanile e di accoglienza incondizionata delle nuove generazioni. La relazione con la comunità adulta, anche se non sempre facile, è mediamente assai più feconda che in tanti altri ambienti, caratterizzati da un lassismo che isola i giovani e li condanna alla legge del branco, oppure segnati dalla subordinazione a regole del tutto funzionali al mondo adulto. Proprio nella Chiesa si creano situazioni intergenerazionali (la responsabilità verso i più piccoli, la collaborazione con gli adulti, il contatto con gli anziani…) che altrove sono scomparse; proprio nella Chiesa le nuove generazioni trovano la possibilità di proporsi non solo nei “ghetti” giovanili, ma di fronte e insieme al mondo adulto, diventando spesso motore della vitalità di una parrocchia. Tre occasioni, dunque, di partnership tra educazione e fede, da riscoprire e potenziare in vista del prossimo decennio di cammino delle Chiese in Italia. A condizione di evitare cortocircuiti e nella convinzione – evangelicamente umile – che l’educazione è una sfida che nessuno può vincere da solo.
Educazione e fede: un incontro auspicabile
Don Paolo Giulietti esperto di Pastorale giovanile propone la II riflessione sul tema dell’Educazione indicata dalla Cei
AUTORE:
Don Paolo Giulietti