Educare: un compito complesso di tutti

La Cei dedica al tema della educazione gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010 - 2020

Il tema dell’educazione è stato ripreso dalla Chiesa italiana dopo un tempo in cui sembrava che fosse improponibile, per la sua difficoltà, complessità ed equivocità. Molti adulti, infatti, dal ’68 in poi hanno dismesso il loro compito e abbandonato il ruolo di educatori. Anche oggi molti sono poveri di convinzioni e di certezze, soprattutto sul piano etico e religioso, per cui educare non sanno cosa possa significare e come si possa fare. Le famiglie spesso si limitano a chiedere ai figli comportamenti di educazione esteriore, che permettano una convivenza civile, senza andare oltre. Non si parla di valori, ideali, principi, ricerca di un senso dell’esistenza, della bellezza del cosmo, del valore del sacrificio, dell’esercizio della volontà, del controllo degli istinti e delle passioni, del rispetto di ciò che è altro da sé (la persona, il corpo, la sessualità) e di ciò che è comune, la città, le opere d’arte e le mura dei palazzi, gli stadi, le scuole (compresi i bagni). Molti adulti rifiutano persino il concetto di adulto e di maturo. Si è ironizzato sulla frase “maturo nella fede” o “cristiano maturo”. Se un adulto non ha la consapevolezza di essere maturo o almeno di aver maturato alcune certezze e alcuni principi di fondo, non potrà sentirsi in grado di fare l’educatore. Riscoprire l’educazione significa riacquistare fiducia e responsabilità nei confronti delle giovani generazioni. Una prima regola è di fare memoria di se stessi nella fase della propria infanzia, adolescenza e giovinezza, sapendo almeno riconoscere le diversità delle fasi della crescita e delle problematiche che comportano, ricordando come eravamo e da quali sentimenti e pensieri eravamo agitati, spinti verso la crescita e la rete delle relazioni. Ricordarsi dei desideri di affetto, delle paure di abbandono e di non essere valutati e valorizzati, delle solitudini e degli incubi notturni, della timidezza, della difficoltà di apprendimento certe materie, rapportarsi con persone e realtà temute. Insomma, quel groviglio che è il cuore e la mente sempre in azione e in agitazione. L’essere umano è fatto così. Ha bisogno dell’altro e quindi dell’educazione che gli viene dal sostegno di un amico, padre, madre, fratello, sorella, maestro che sia. Un antropologo ha detto che il “bisogno” definisce l’essere umano.“La Voce” pubblicherà dei contributi sul tema. Il primo è di Floriana Falcinelli, docente di Didattica a Scienze della formazione dell’Università di Perugia, che ringraziamoOrmai da tempo viviamo, bambini, giovani e adulti, immersi in una società che la sociologia più recente ci ha abituato a definire complessa; una società caratterizzata da quella che Zygmunt Bauman chiama “modernità liquida”; da frammentazione, incertezza, mutamento rapido, in cui vengono proposti una molteplicità di orizzonti di valore di cui peraltro viene percepita la contingenza e la caducità da cui originano una pluralità di modelli di comportamento effimeri.In questo contesto è forte l’impegno dei Vescovi italiani a rimettere al centro della riflessione culturale la dimensione educativa recuperandone il significato profondo.Educare è infatti un compito complesso; non significa manipolare, massificare, modellare un soggetto secondo un’immagine definita a priori, ma piuttosto progettare intenzionalmente le condizioni che permettano ad ogni bambino prima, ragazzo poi, di sviluppare al massimo le proprie potenzialità di persona, sostenendolo e guidandolo con autorità e amore pedagogico in questo cammino. Alla base dell’atto educativo c’è la relazione intesa come scambio profondo, che non si riduce a semplice flusso di informazioni, ma chiede di essere sostanziata di significati esistenziali, di finalità onnicomprensive, di valori.Una relazionalià specialeLa relazione educativa si differenzia dalle altre forme di rapporto perché è frutto dell’intenzionalità, è un atto guidato dalla coscienza, persegue finalità onnicomprensive di crescita; essa permette la costruzione di un rapporto interpersonale, di un’unità dialogica, nella dimensione della reciprocità, della co-evoluzione e della cooperazione.La relazione educativa richiede una progettualità consapevole che, lungi dall’essere un itinerario rigido deciso aprioristicamente dall’educatore, è l’individuazione di un percorso di crescita orientato ai valori fondamentali della persona, modulato sulla costante osservazione dell’educando, sull’ascolto autentico delle sue esigenze di crescita, che permette ad esso di riconoscere, realizzare e sviluppare le proprie potenzialità.Al centro del discorso pedagogico c’è dunque la relazione interpersonale tra educatore ed educando, che contribuisce alla crescita di entrambi e diventa momento di arricchimento personale e sociale, nella logica di un modello circolare di rapporti. La relazione educativa presuppone contemporaneamente un’asimmetria di ruoli tra educatore ed educando, a causa delle differenze provocate dall’età, dall’esperienza, dal grado di sviluppo, e una parità valoriale. Ecco perché nella relazione educativa tra le persone coinvolte si instaura un clima di dialogo e ascolto reciproco, che non esclude però talvolta una forma di negazione di comportamenti non adeguati alla crescita della persona.In che senso “autorità”L’educatore infatti, nella sua posizione asimmetrica integrativa, è chiamato ad esercitare un’autorità liberante. Autorità in termini educativi non significa gratuito esercizio di potere, repressione o mero controllo; è piuttosto autentico servizio alla libertà dell’altro, guida, testimonianza, modello positivo, supporto alla crescita di un soggetto del quale si vuole il bene.È un’autorità fondata sull’amore educativo, un amore che significa volere il bene dell’altro, il velle alicui bonum di san Tommaso, l’amor pensoso di cui parla Pestalozzi, che trova il suo fondamento nel riconoscimento dell’alterità come valoreÈ un amore oblativo, che nasce dal donarsi gratuitamente, dal mettersi al servizio dell’altro, che non si nasconde ma anzi si esprime con tutta la sua forza, promuovendo la reciprocità affettiva, come ben aveva capito don Bosco quando invitava gli educatori a far in modo che gli educandi sentissero di essere amati.Educare significa, allora, assumersi il compito di attivare una serie di azioni volte a far scoprire alla persona le proprie risorse e a mettere in atto tutto ciò che permette ad essa di realizzarsi al massimo. Così ogni soggetto apprende il valore e le possibilità della propria esistenza, scoprendo il senso profondo della vita. Aiutare a vedere, testimoniare con le proprie azioni le scelte valoriali, giocare, dialogare, ascoltare, riflettere significa allora aiutare l’educando a farsi cosciente del valore della propria vita e ad elaborare un progetto personale di crescita, entro un orizzonte di senso che ha potuto condividere con l’educatore.Questa dimensione educativa va riscoperta o semplicemente assunta con maggiore consapevolezza da tutti coloro che nelle diverse istituzioni assumono un ruolo di riferimento per le giovani generazioni.Il ruolo dei genitoriIn primo luogo va recuperata la funzione educativa dei genitori, che rassicurano, condividono, amano, ma anche responsabilizzano ed emancipanoEssi devono saper offrire al figlio gli strumenti cognitivi, ma anche emozionali – affettivi, per scegliere, ordinare le esperienze, attribuire loro senso, acquisire i criteri di giudizio per interpretare la realtà e orientare i comportamenti.I genitori danno sicurezza e conforto al figlio quando l’esperienza della vita ha prodotto emozioni troppo forti che non riesce a sopportare; lo aiutano a superare le difficoltà, a tollerare i conflitti e a rielaborare in senso positivo le frustrazioni, richiamandolo al senso di responsabilità e all’impegno; lo orientano ai valori morali, lo rassicurano e lo aiutano a comprendere il processo della propria maturazione sessuale e a vivere il proprio corpo nella serenità e nel rispetto; accolgono le sue spinte d’autonomia e favoriscono la sua apertura verso il gruppo dei coetanei, cercando di far cogliere il significato profondo dell’amicizia; collaborano attivamente all’esperienza scolastica per favorire la sua consapevolezza culturale, lo aiutano a rielaborare i contenuti religiosi appresi, lo aiutano a capire la società in cui vive, stimolando il senso critico e la partecipazione al cambiamento.Anche la scuola va richiamata ad un ruolo educativo forte, ad essere per il ragazzo opportunità di ricerca di significato della propria vita, luogo di alfabetizzazione culturale in cui acquisire gli strumenti simbolici per elaborare la propria esperienza di vita e conquistare le competenze fondamentali per orientarsi nel mondo, ma anche contesto di vita in cui sperimentare impegni e responsabilità, costruire relazioni sociali significative, riconoscere e rispettare regole di vita associata. Ma la famiglia e la scuola vanno sostenute e supportate da un sistema sociale che assume in modo consapevole ed esplicito la dimensione educativa come strumento di sviluppo e di benessere. Questo richiede che le diverse istituzioni, e in certo senso anche il sistema dei media, ripensino la loro funzione, condividendo con la famiglia e la scuola un progetto pedagogico che metta al centro le persone e la loro crescita autentica.Floriana Falcinelli

AUTORE: E. B.