“Mi va di farlo e lo faccio”; “Mi piace e lo faccio”; “Mi piace e lo prendo”… sono diverse espressioni che dicono però tutte la stessa cosa: dicono qual è la struttura comportamentale del ragazzo in età di scuola media, oggi. E tale struttura è la conseguenza di una educazione che affonda le radici nella fanciullezza quando i fanciulli vengono lasciati a se stessi, vengono lasciati, cioè, in balia dei propri istinti, dei propri impulsi primordiali. Cresciuti così, seguendo gli impulsi del momento, tiranneggiati da questi, trovano poi normale, anche quando non sono più fanciulli, che così debba essere. Non sospettano nemmeno che le cose potrebbero andare diversamente. Ormai i ragazzi, rimproverati per il loro comportamento primordiale, si meravigliano e candidamente rispondono: “Beh, che male c’è” oppure: “Beh, che ho fatto?”. Si dirà che non bisogna generalizzare, che quelli che agiscono così possono essere frange minoritarie, che la gran parte dei ragazzi è invece di tutt’altro stampo… ebbene, io ritengo che fondamentalmente, seppure in gradi diversi, tutti sono omologati dentro questo modello. Ci sarà chi questo modello lo realizza in modo più pieno e chi meno, ma tutti ci sono dentro. Quando i ragazzi si affacciano alla giovinezza hanno un bel da fare per ricostruirsi, e il lavoro diventa faticosissimo. Se è vero che la cultura è l’apprendimento di regole di comportamento attraverso le quali si impara a imbrigliare e guidare le proprie pulsioni, in vista di una convivenza non aggressiva ma costruttiva, il bilancio culturale della nostra epoca non è certamente dei migliori e niente affatto promettente in vista del futuro. Giustamente qualcuno ha detto che educare è dare un senso alla vita, darle cioè una meta. Chi è tiranneggiato dalle proprie pulsioni è senza meta ha una causa efficiente che spiega perché c’è l’azione ma non ha ancora la meta che calamita l’azione. L’azione diventa così sfogo di energie e non costruzione di qualcosa. Per costruire ci vuole un progetto. Nell’educazione della mia generazione il progetto era preminente. Ci si insegnava ad aspirare ad una professione buona, migliore, cioè, di quella dei nostri genitori; ci veniva detto che senza l’impegno niente si costruisce, che non si poteva essere solo cicale ma che bisognava essere anche formicuzze capaci di pensare al domani per costruire qualcosa di valido per sé e non solo per sé… Certo, ci costava vivere anche per il futuro anziché essere immersi nell’immediatezza del presente, ma l’ambiente era tale che ci convinceva a piegare le spalle e… a faticare. Non vorrei passare come colui che afferma che “ieri era tutto bello mentre oggi è tutto brutto”; mi sembra però di poter affermare che questa tensione verso un futuro ha dato i suoi risultati per la nostra generazione e che di questa tensione si senta oggi la mancanza. Qualcuno ha scritto: “La vera carenza della nostra educazione attuale è quella di non educare più, quella di aver abdicato al proprio compito numero uno: fornire a tutti i giovani il modo di dare un significato alla propria vita”; lo sottoscrivo totalmente. L’assenza di un significato da dare alla vita comporta la caduta di ogni parametro per distinguere tra vero e falso, tra buono e cattivo, tra giusto e ingiusto, tra corretto e scorretto. Certo il senso da dare alla vita non può essere oggetto di imposizione ma di assunzione personale, quindi libera, confrontata, sperimentata e anche sofferta. Ma come arrivarci se nelle comunità, quali quella della famiglia, della scuola, della società più vasta, mancano proposte e soprattutto modelli che orientino in tale direzione? Una neutralità educativa è quanto di più insensato possa essere praticato. Ogni persona ha bisogno, per poter scegliere, di trovarsi davanti a delle proposte. Solo partendo da queste si può innovare e cambiare. Dal niente nasce niente. È la legge della vita. Anche la democrazia si nutre della validità delle proposte in campo e ha un futuro solo se ha proposte valide da mettere a confronto. La peggiore situazione educativa è quella dell’indifferenza e del relativismo, che andrebbe bene solo se fossimo delle monadi e non dei “conviventi”.
Educare al senso della vita
Emergenza educativa. Parla un Dirigente scolastico
AUTORE:
Don Gianni Colasanti