di Tonio Dell’Olio
Li chiamano “ecomigranti” o migranti climatici. Sono uomini e donne costretti ad abbandonare famiglia, tradizioni, affetti nella propria terra per tentare di andare a sopravvivere altrove. Il pezzetto di terra che lavoravano e che dava loro di che vivere è stato inghiottito dal deserto che avanza e reso improduttivo.
Un frutto amaro dei cambiamenti climatici che, a loro volta, sono stati prodotti dal nostro modello di industrializzazione, del quale l’Africa non ha goduto affatto e di cui è chiamata a pagare il conto. Perché il surriscaldamento del pianeta riguarda tutti, ma a soffrirne di più è quella parte del globo che già era calda.
Per questo, in molti non hanno altra scelta; resterebbero più che volentieri nella terra che li ha generati, ma sono costretti a tentare quella drammatica roulette russa dell’emigrazione tra deserto, Libia, Mediterraneo e inospitalità (o respingimento) in Europa. Di fatto, è come se venissero a presentarci il conto dei danni provocati, e noi ci rifiutassimo di riconoscere almeno le briciole.
*presidente della Pro Civitate Christiana – Assisi