Appena finito di scrivere sul ritorno del cosiddetto antisemitismo (vedi pag 9), la triste cronaca costringe la mente a ribadire lo sdegno, unito a preghiera e ad impegno, per la strage di innocenti (otto bambini uccisi) perpetrata da un missile israeliano sparato su una casa di Gaza in Palestina. E’ un sentimento che si unisce a quello che provocano gli attacchi omicidi e suicidi di quei palestinesi impropriamente chiamati kamikaze che si sono ripetuti e si ripetono senza freno. Si dirà perché mai ci interessiamo così spesso di questa sporca faccenda. La ragione è che la Terra santa per noi è una terra diversa ed abbiamo come un nervo scoperto ogni volta che vediamo spegnersi ogni spiraglio di pace. Avremmo voluto concentrarci in quella visione di serenità e di gioia che rappresenta la Giornata mondiale convocata dal vecchio stanco e malato Carol Wojtyla. Ma la spinta a denunciare questo ultimo crimine di guerra ci viene anche e proprio dal commento che ne ha fatto Ariel Sharon: ha chiesto scusa per le vittime civili ed ha anche dichiarato che si è trattato di “una delle operazioni più riuscite dell’esercito”. Un successo, quindi, perché nel raid aereo è stato ucciso il capo del braccio armato del movimento islamico Hamas, Salah Shehade. E’, certo, inammissibile che dei terroristi si nascondano tra la popolazione, ma è altrettanto inammissibile che si vada a colpire con un missile una persona senza tener conto di chi gli sta accanto. La guerra è la guerra! ripetono i cinici. Ma questa non è civiltà e ci rifiutiamo di pensare che quella grande cultura ebraica che si vanta di essere superiore e maestra di vita sia calpestata da un governo che in modo sia pure imperfetto e improprio pretende comunque di esserne rappresentante e difensore. L’Avvenire ha titolato così un commento (24 luglio): “Con l’uccisione dei civili Israele pareggia un orrido conto” e l’Osservatore Romano lo stesso giorno: “Colpendo i ragazzi si nega un futuro alle generazioni che dovrebbero riscattare un passato fatto di barbarie”. Il mondo intero ha condannato questa operazione e il Segretario generale dell’Onu Kofi Annan ha detto che “Israele ha la responsabilità legale e morale di prendere tutte le misure necessarie per evitare la perdita di vite umane”. Non successo quindi ma eccesso di violenza e regresso del processo di pacificazione. E tutto questo è avvenuto proprio quando da Gaza lo sceicco Ahmed Yassim, leader spirituale di Hamas aveva annunciato la possibilità di fermare gli attacchi suicidi in cambio del ritiro degli israeliani dai Territori e contemporaneamente da Gerusalemme si aveva la notizia del proseguimento degli incontri tra il ministro Shimon Peres e il responsabile palestinese Saeb Erekat per cercare di migliorare le condizioni di vita della popolazione araba in Cisgiordania e Gaza. Sembra che ci sia qualcuno che non voglia proprio la pace e manovra contro. Se le cose vanno avanti così ci si deve aspettare lo scontro totale, l’espulsione dei palestinesi, la deportazione dei familiari dei responsabili degli attachi suicidi, insomma, una catena di tragedie senza fine. Non ci resta che sperare nella crescita di quei piccoli segni o semi di buona volontà e di collaborazione che qua e là si raccontano in qualche angolo di giornale: i ragazzi palestinesi curati in Italia dalla talassemia; l’appello di intellettuali di ambedue i fronti “In movimento per la pace” che campeggia in questi giorni negli autobus di Napoli. E soprattutto che serva a conquistare anche i cuori più induriti la tragica lezione della sofferenza.
Eccesso non successo
AUTORE:
Elio Bromuri