venerdì, 31 Gennaio 2025
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È stata una scelta politica del ministro Nordio

Non si può trascurare l’episodio dell’alto funzionario del governo libico, incriminato davanti alla Corte penale internazionale, arrestato in Italia ma ben presto rimesso in libertà e rimpatriato con un aereo speciale a cura e spese del nostro stato. La Corte penale internazionale è nata per un patto cui aderiscono circa 150 stati – fra i quali non vi sono gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India, l’Arabia Saudita, l’Iran, la Libia. Dovrebbe svolgere in permanenza il compito che dopo la guerra mondiale fu svolto dal tribunale speciale del processo di Norimberga contro i criminali nazisti. In effetti la sua competenza riguarda proprio – e solo – quei tipi di reato che furono processati a Norimberga: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, e pochi altri.

La Corte ha un organico di giudici, procuratori, cancellieri, ma non dispone di forze di polizia né di prigioni; ai loro compiti provvedono (dovrebbero provvedere) gli stati aderenti, con le proprie strutture. Fra i processi in fase di indagine vi è quello contro un alto funzionario del governo libico, accusato di crimini gravissimi (appunto del genere di quelli assegnati alla Corte) contro i profughi africani. Costui era stato arrestato ma, come abbiamo detto, poi è stato messo in libertà e rimandato a casa sua, dove non corre il rischio di essere nuovamente arrestato.

Chi ha deciso questo, e perché? Risposta: lo ha deciso il nostro governo, per una scelta politica. La legge n. 237 del 2012 dice che quando la Corte penale internazionale chiede la collaborazione dello Stato italiano (come nel caso, appunto, dell’arresto del ricercato libico) spetta esclusivamente al ministro della giustizia attivare la nostra magistratura e la nostra polizia; e il ministro, si capisce, decide se farlo o non farlo in base a valutazioni puramente politiche. Dunque, il (presunto) criminale libico è stato sottratto al giudizio della Corte internazionale da una scelta politica del ministro Nordio. Il quale si è ben guardato – almeno fino al momento in cui scrivo – di darne una spiegazione qualsiasi. Né lui, né altri, hanno detto che quell’uomo sia accusato ingiustamente e che fosse un dovere di equità salvarlo dalla persecuzione. È lecito sospettare invece che il governo italiano approvi che nei lager libici si proceda con quei metodi che la Corte internazionale vorrebbe punire.

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