Uno spot pubblicitario mostra un giovane pensoso che si chiede: “È meglio essere o avere?”. Poi sorride e dice: “Ma la vera domanda è: perché devo pagare per avere un conto corrente?”. Una voce fuori campo dice, trionfante: “Le grandi domande sono cambiate”. Si capisce che lo spot vuol essere spiritoso e ironico. Ma è molto più vero di quanto credano i suoi autori. Avere o essere? era il titolo di un libro di grande successo, una quarantina di anni fa, del sociologo e psicologo Erich Fromm, allora già famoso per il best-seller L’arte di amare. Due libri chiaramente non basati su una visione cristiana della vita, ma quanto meno indirizzavano alla generosità, all’altruismo, alla ricerca di valori autentici, al primato dell’“essere” sull’“avere”. Non voglio adesso fare un’apologia di Fromm, che ovviamente aveva molti limiti. Voglio invece registrare il fatto storico che in un certo arco di tempo quei libri sono stati di moda, circolavano di mano in mano e se ne discorreva fra amici; perché quei temi allora erano sentiti. Era l’epoca delle ideologie, con tutto il male che hanno portato; ma accanto alle ideologie (nefaste) c’erano anche gli ideali. Erano gli anni di Paolo VI e dei suoi messaggi all’umanità. Si mitizzavano personaggi da Che Guevara a John Kennedy (“Non chiedete che cosa può fare il vostro Paese per voi, ma cosa potete fare voi per il vostro Paese”). Nei movimenti, nelle associazioni studentesche, si parlava di pace, di giustizia sociale, di un mondo migliore da costruire. Dal mio gruppo di azione cattolica, Ivo Baldi partiva per fare il missionario in Perù (ci sarebbe diventato vescovo) e Mario Capanna per fare il rivoluzionario a Milano (ci sarebbe diventato deputato). Giovani come loro ci sono anche adesso; ma la tendenza di massa, mi pare, non è più quella. Oggi domina un individualismo cinico e ottuso; non conta più “essere” ma “avere”. Avere cosa? l’ultimo modello di telefonino, se va bene; altrimenti può trattarsi anche di alcol e di droga.
È meglio avere o essere?
AUTORE:
Pier Giorgio Lignani