Finiamola. L’ipocrisia è diventata una coperta corta, per il dramma della droga che interessa i nostri figli. Arriva l’ultima statistica e Perugia risulta, ancora una volta, ai vertici italiani per overdose mortali e percentuali di marijuana, con incrementi del 400% nell’abuso di ketamina e addirittura dell’863% nelle metanfetamine, in allarmante crescita anche nel Ternano (+232%).
I numeri continuano a confermare, a timbrare primati di cui ci si dovrebbe non scandalizzare o meravigliare, ma vergognare. Vergognare: uno dei verbi che aveva usato, accoppiandolo inopinatamente a parole più pesanti ed inappropriate, il precedente prefetto di Perugia. Rimosso, per questo, dal suo incarico e da Perugia: città che, via lui, rimane a guardare l’ombelico del suo antico, stratificato problema dello spaccio (e del consumo) alla luce del sole (e persino nei luoghi più storicamente e civilmente rilevanti della vita cittadina, come gli scalini e l’ingresso della cattedrale).
Dove sta, in tutto questo, l’ipocrisia? Nel pensare, nel ribadire, nell’esternare ancora e ancora una volta la convinzione, da parte soprattutto di chi ha responsabilità, a vari livelli, della cosa pubblica, che la questione vada aggredita sui fronti della repressione dello spaccio e dell’azione da portare avanti nelle istituzioni educative ai vari livelli. Tutto bene.
Tutto bene? Possibile che della vera radice di ogni questione che riguardi un problema di crescita sbagliata dei nostri figli non parli nessuno? Possibile che ancora si abbia questo pudore (o timore) di anche soltanto nominare le responsabilità della famiglia, dei padri e delle madri di questi minorenni che prima ancora di ogni altra esperienza vengono sbattuti dall’incuria e dalla superficialità educativa nel bel mezzo di scelte (“i miei amici si fanno, io…?”) che all’interno del loro nucleo familiare, più o meno coeso che possa essere in questi tempi di crisi, non trovano neanche mezzo minuto per essere discusse? Guardiamoci dentro, padri e madri, e facciamolo fino in fondo, onestamente. E guardiamo in faccia, meglio sarebbe negli occhi, nei loro occhi sempre più precocemente non più innocenti, i nostri figli: facciamo domande, a noi stessi e a loro, e pretendiamo risposte, oneste e sincere.
Con la forza e il vigore che soltanto l’amore di un genitore verso il proprio figlio sa e può pretendere. Soltanto dopo aver fatto questo, ragioniamo di prevenzione e repressione. E basta con l’ipocrisia.