In un piccolo libro appena pubblicato, don Severino Dianich, cerca di spiegare che cosa è la La Chiesa, (Ed. San Paolo) in maniera semplice che possa capirlo anche “un turista cinese che viene in Europa per la prima volta o un immigrato del Bangladesh, che vende occhiali in un banchetto davanti alla stazione”.
Il teologo toscano, tra i più famosi in Italia, afferma che “la Chiesa non è un’agenzia di servizi religiosi che i preti erogano a favore dei credenti che intendono servirsene, ma un popolo mandato da Dio nel mondo a fare da fermento, perché tutti possano incontrarlo e vivere in comunione con lui nella riconciliazione, nella giustizia e nella pace” (p. 38).
Gettando uno sguardo anche superficiale attorno sul grande mondo attuale, viene spontaneo domandarsi dov’è questo popolo che opera per la giustizia, la riconciliazione, la pace, che è come un’energia, una forza positiva o, come afferma la lettera a Diogneto, agisce nel mondo come l’anima nel corpo? Anche in ambito politico, culturale ed economico, dove sono i cristiani e come si riconoscono e che peso hanno nello sviluppo della storia? Cosa possiamo pensare? Antiseri direbbe “sono dappertutto e non contano nulla”.
Forse è giusto ritornare al dato biblico e domandarsi, come ha fatto recentemente mons. Bassetti, se le nostre Chiese locali, non siano o rischino di essere simili alla Chiesa di Laodicea, descritta dall’Apocalisse (Ap. 3,14 s.): una comunità che credeva di essere ricca, bella, fortunata, soddisfatta, che non ha bisogno di nulla, e non si accorge di essere fallita, povera cieca e nuda. Osiamo pensare che lo Spirito, che ha a cuore le sorti della Chiesa e del mondo ha inviato un messaggero per il nostro tempo, Francesco, a scuotere le coscienze e ravvivare lo spirito missionario per portare il lieto annuncio ai poveri.
In un convegno pastorale una persona impegnata da sempre da cristiano nel sociale ha lamentato dolorosamente l’assenza dei cristiani dalla scena sociale culturale e politica, notando eclatanti contraddizioni tra il dichiararsi cristiani e seguire determinati orientamenti culturali e politici apertamente contrari al vangelo. Un grido doloroso in un recente articolo di un giornalista pensante riferito all’Umbria (Umbria mia, perché? di A. Carlo Ponti) ha colto nel segno una situazione di disagio morale e sociale che prende le mosse da un fatto di cronaca e passa in rassegna una prassi privata e pubblica inaccettabile. Questo discorso sul versante del negativo non è un vuoto lamento, ma la convinzione sincera che urge operare un cambiamento di mentalità e di prospettiva, ridando dignità e valore ai maestri che siano anche testimoni e educatori.
Nel momento in cui si liberano delle energie spirituali che rischiano di essere imbrigliate in forme di protesta, di ribellione o di assuefazione o di ripiegamento in una ritualità devozionistica o spettacolare, consolatoria e alienante si deve coraggiosamente intraprendere l’itinerario indicato da Papa Francesco con le tre famose “C”: “Camminare, costruire, confessare”, ripetuto più volte, andando al cuore del vangelo senza sottili mediazioni che ne attenuano la vitalità.
La dimensione educativa e formativa deve ritrovare il posto che le spetta nella gerarchia degli impegni e delle risorse della Chiesa, riscoprendo il valore educativo della stessa liturgia, che ”“non è un discorso su Dio, ma esperienza di Dio che educa il suo popolo” e lo rende capace di servire con amore gli uomini e portare loro la speranza e la pace.