Sull’intonso calendario, debitamente appeso per l’ennesima volta al posto che gli compete nel mio studiolo, ufficialmente è passato un anno da quando, nel 2014, prendemmo a disquisire sul presente e sul futuro dell’Acradu, Associazione cristiana delle residenze per anziani e disabili dell’Umbria. In realtà sono passati solo quindici giorni, sufficienti però a rendermi conto di come, nei nostri ambiti ecclesiali, l’Acradu sia praticamente sconosciuta. Doppiamente sconosciuta.
Sconosciuta al livello di rappresentanza delle realtà ecclesiali umbre impegnate nei due settori del suo acronimo; impegnate non in maniera eroico-individualista, ma in doveroso dialogo con le Autorità regionali del settore socio-sanitario, alle quali tocca di diritto non il ruolo di factotum (visto che Stalin è morto nel 1953), ma il compito di autenticare, controllare e coordinare tutte le iniziative che nascono dalla società civile. Il che, fra l’altro, oltre che migliorare decisamente la qualità complessiva del servizio, allevia il carico eccessivo che graverebbe sul Pubblico. Ci fu un tempo in cui i documenti ufficiali della Sanità umbra indicavano come propria dell’Acradu questa funzione di rappresentanza. Oggi non più: quel comma è scomparso, un’anonima forbice ha tagliato il filo d’Arianna. Quale e manovrata da chi sia stata questa forbice, come e perché abbia reciso quel filo… è tutto da scoprire. Credo che potremo rispondere a questi dubbi semi-amletici nelle prossime riunioni dell’Acradu.
Sconosciuta, l’Acradu, a livello di sostanza, di quella qualità che ne caratterizza, o almeno dovrebbe caratterizzarne, l’impegno. Un tema che dovremo mettere a fuoco prioritariamente, per chiarire il profilo di quel nostro impegno anzitutto a noi stessi, poi ai settori socio-sanitari pubblici di riferimento.
La flebile luce di questo minuscolo angolo della cultura umbra che è la nostra Abat-jour cercherà di offrire materiale per rispondere agli interrogativi legati dal chiarimento suddetto, non senza un pizzico di sal sapientiae: solo un pizzico, please!, appena un’insaporita.
Grazie a Dio, quello che sto per proporre ai miei 17 lettori non è fiorito nei logori meandri dei miei circuiti cerebrali, ma l’ho preso di sana pianta da uno studio dal titolo L’handicappato e la comunità cristiana (ma “senza pretesa di completezza”, dice lui), pubblicato nel 1981, su uno dei Quaderni di ricerca e documentazione della Ilep di Milano, da don Luigi Serenthà, rettore del Seminario maggiore: uno degli uomini di fiducia del card. Martini, che dopo appena qualche mese il cancro avrebbe portato via, tra le braccia di quel suo amatissimo Signore che aveva servito nei ruoli più diversi. Un ottimo strumento: quando insegnavo alla Lumsa lo usavo a mitraglia. Vedrete.